Morte di Socrate, di Jacques-Louis David |
Celeberrime, nel Fedone di Platone, sono le ultime parole pronunziate da Socrate, prima di morire dopo aver bevuto un φάρμακον (veleno):
«O Critone, disse, noi siamo debitori di un gallo ad Asclèpio: dateglielo e non ve ne dimenticate».
Molte sono state le interpretazioni di queste parole un po’ misteriose.
A me ha sempre affascinato quella fornita da Georges Dumézil nel suo «... Il monaco nero in grigio dentro Varennes» (Adelphi, 1987).
Ricordiamo i fatti.
Il discepolo Critone aveva più volte suggerito a Socrate di sottrarsi con la fuga all’iniqua sentenza cui era stato condannato. Socrate però obietta, introducendo la figura retorica della prosopopea (personificazione) delle Leggi.
Ecco il famoso passo:
«Bene: considera la cosa da questo lato. Se, mentre noi siamo sul punto... sì, di svignarcela di qui, o come altrimenti tu voglia dire, ci venissero incontro le Leggi e la città tutta quanta, e ci si fermassero innanzi e ci domandassero: "Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare? Non mediti forse, con codesta azione cui ti accingi, di distruggere noi, cioè le leggi, e con noi tutta insieme la città, per quanto sta in te? O credi possa tuttavia vivere e non essere sovvertita da cima a fondo quella città in cui le sentenze pronunciate non hanno valore e anzi, da privati cittadini, sono fatte vane e distrutte?» (dal Critone, traduzione di M.Valgimigli).
Naturalmente Critone non sa cosa rispondere, ma il progetto della fuga continua ad aleggiare nell’aria.
E veniamo dunque all’interpretazione di Dumézil del controverso passo del Fedone.
Secondo lo studioso francese, Critone è stato colpito da un delirio della mente (far fuggire Socrate dal carcere sottraendosi alle leggi) e Socrate ne è stato un po’ contagiato.
Fortunatamente, complice anche un sogno provvidenziale di Socrate, sono entrambi guariti da quel morbo: ecco perché hanno entrambi un debito di riconoscenza per Asclepio, il dio delle guarigioni.
Prima di morire, Socrate ricorda dunque all’amico che occorre saldare quel debito.
Continuo a sperare che Berlusconi, al quale auguro cent’anni di vita (pardon, centoventi), faccia anch'egli un bel sogno provvidenziale.
E radunati i suoi dica loro di offrire un gallo ad Asclepio.
Nessun commento:
Posta un commento