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mercoledì 6 aprile 2011

Responsibility to protect: il nodo non sciolto.



[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


La risoluzione n° 1973 dell’ONU che autorizza “gli stati membri a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili in Libia (articolo 4)” è stata presa in nome del cosiddetto principio Responsibility to Protect, responsabilità di proteggere.
Vediamo di capire come è nato questo nuovo principio, detto anche R2P.

Il summit del gruppo dei 77 (G77) - organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite - riunito nell’aprile del 2000 all’Avana - aveva recisamente riaffermato che la globalizzazione non deve essere usata contro i princìpi della sovranità e della non ingerenza e aveva rifiutato il diritto di intervento umanitario.*

Venne allora costituita una commissione - la ICISS - il cui scopo era principalmente quello di rispondere alla domanda posta dal Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan: "Se l'intervento umanitario è davvero un attacco inaccettabile alla sovranità, come dovremmo rispondere al Ruanda, a Srebrenica, a grandi e sistematiche violazioni dei diritti umani che offendono ogni regola della nostra comune umanità?".

La commissione lavora per un anno e presenta il suo rapporto finale il 30 settembre del 2001: pochi giorni dopo il tragico attentato terroristico alle torri gemelle. 
Benché si dichiarasse esplicitamente il contrario, c’è da ritenere che il terribile evento abbia invece influenzato la conclusione dei lavori. 
In estrema sintesi, l’ICISS afferma che “la sovranità è responsabilità e gli stati devono intervenire nei paesi che non possono o non vogliono esercitarla” e raccomanda al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di approvare una risoluzione che accolga questa teoria.
Il principio - sia pure tra critiche e inviti alla cautela - si afferma.

Ma certamente il nodo non si è sciolto.

Molti infatti sostengono** che R2P sia semplicemente un escamotage per far rientrare dalla finestra quel diritto di ingerenza che era stato cacciato dalla porta. 
Non a caso, nel 2008, il presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Miguel d’Escoto avverte che è necessario fare in modo che la Responsabilità di Proteggere "non venga interpretata o usata, come spesso accaduto in passato, come un diritto di ingerenza".

Ma dal punto di vista pratico, questo monito come si traduce

Insomma è lecito intervenire oppure no? 

Sembra proprio che ci si sia avvitati in un terribile guazzabuglio. 

E a questo punto, credo sarebbe davvero il caso di aprire un ampio dibattito al riguardo.
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*Art.49. We reaffirm that every State has the inalienable right to choose political, economic, social and cultural systems of its own, without interference in any form by other States. 
Riaffermiamo che ogni Stato ha il diritto inalienabile di scegliere i sistemi politici, economici, sociali e culturali propri, senza interferenze in qualsiasi forma di altri Stati.
Art.54 We reject the so-called “right” of humanitarian intervention, which has no legal basis in the United Nations Charter or in the general principles of international law.
Noi rifiutiamo il cosiddetto "diritto" di intervento umanitario, che non ha fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite o nei principi generali del diritto internazionale.
**Jean Bricmont, autore de Imperialisme humanitaire. Droits de l’homme, droit d’ingérence, droit du plus fort? (Editions Aden, 2005) ha osservato:«La "responsabilità di proteggere" è una sorta di astuzia giuridica che tenta di inserire il diritto di ingerenza nel diritto internazionale, mentre i principi del diritto internazionale respingono con fermezza le interferenze»


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