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martedì 31 maggio 2011

Il cantastorie che ha perso le ali.


Dunque è stata disfatta.

Se qualcuno voleva, come Berlusconi voleva ed aveva chiesto, una risposta netta sulla fiducia degli italiani nei confronti del governo e del suo Premier, il messaggio è arrivato, forte e chiaro.

La vera notizia da registrare è che l'odio e la paura come motori della campagna elettorale non pagano più.

Nella sua Milano, puntando sul referendum personale, Berlusconi ha giocato tutte le carte a lui più congeniali: ha agitato lo spettro del comunismo ("gli estremisti"), ha invocato la questione sicurezza ("gli amici dei brigatisti"), ha soffiato sul fuoco dell'odio razziale (musulmani e moschee).
Risultato: ha consegnato Milano al centrosinistra di Pisapia.

Un po' più a sud, in quel di Napoli, si è compiuta un'altra nemesi: dopo la guerra senza quartiere dichiarata da Berlusconi alla magistratura, dopo i manifesti di Lassini e le ingiurie dei pasdaran a Ilda Boccassini, all'ombra del Vesuvio ha stravinto l'ex magistrato De Magistris, prendendo il 31% in più del candidato del PdL Lettieri.

Sono segnali inequivocabili, che non possono non apparire risposte precise degli italiani a quesiti altrettanto precisi, per lo più posti esplicitamente dallo stesso Berlusconi (che era arrivato a dire persino "chi mi vuole bene, mi voti").

Il fatto che l'odio e la paura non siano più armi da brandire in campagna elettorale pone Berlusconi davanti ad un futuro politico a dir poco problematico.

Appaiono finiti i tempi delle evocazioni di sogni irrealizzabili (annata '94).
E il nemico comunista appare sempre più sbiadito e quanto mai anacronistico.

Cosa resta, dunque, ad un uomo preoccupato ormai più di salvare il salvabile - cioè la propria pelle nei vari processi - che di salvare il paese?

Molti commentatori di centrodestra hanno già cominciato a parlare di un futuro prossimo in cui Berlusconi "rovescerà il tavolo": un nuovo partito, si dice.
Una nuova storia da raccontare, c'è da supporre.

Basterà?

Francamente, io penso di no.

Chi affabula, chi fa il cantastorie, chi assume su di sé l'onere e l'onore di alimentare sogni e fantasie - parlando "alla pancia" delle persone - ha un solo modo per essere imperituro: non venire mai a contatto con la realtà; non sporcarsi le mani con i problemi quotidiani.

Ai tempi dei tempi, gli aedi erano considerati "divini".
Il loro mestiere era suonare le corde dell'anima di un popolo e conservare la sua memoria storica.
Un compito gravoso e magnifico al tempo stesso.
Divino, appunto.

Strappato alla sua dimensione narrativa però - dimensione del tutto affine a quella onirica - un cantastorie si rivela per quello che è: un uomo come tutti gli altri, con i suoi difetti, i suoi vizi, i suoi fallimenti.

E quando il velo è stato squarciato, quando la coscienza collettiva è uscita all'improvviso da quella condizione di mise en abyme, non ha più senso raccontare storie, evocare sogni.

Al cantastorie che ha perso le ali non resta che fare, sommessamente e dignitosamente, un bell'inchino.

E calare il sipario.