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mercoledì 11 maggio 2011

Il terremoto nella Capitale: se il 20% ci crede...



L'Aduc, Associazione per i diritti degli utenti e consumatori, sostiene che il 20% dei lavoratori romani, quest'oggi, ha disertato il lavoro.

E non solo quello, a quanto pare. 
Perché sembrerebbe che, addirittura, molti avrebbero lasciato la Capitale. 
Per sfuggire alla catastrofe.

Ma sì, quella del disastroso terremoto vaticinato per oggi (o almeno così si diceva), terremoto che stando al tam tam della rete avrebbe dovuto radere al suolo la città di Roma.

A nulla è valso l'intervento dell'Ingv (Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia), che ha ribadito un concetto piuttosto semplice, ma evidentemente di scarsa presa mediatica: l'unica cosa certa è l'imprevedibilità dei terremoti.

Facciamo due conti al volo?
Roma ha circa 2 milioni e 800 mila abitanti. 
Risultano occupati circa la metà dei cittadini, dunque diciamo grosso modo 1 milione e 400 mila abitanti.
Il 20% equivale a 280 mila persone.

Che hanno creduto ad una pseudo-profezia al punto da fuggire dalla città.

Al riguardo, due spunti di riflessioni mi paiono doverosi.

1. Davvero vogliamo meravigliarci se così tanta gente, nel nostro paese, si fa prendere per i fondelli da anni dall'Imbonitore Silvio Berlusconi? Dagli Azzeccagarbugli Alfano e Ghedini? Dallo pseudo-giornalismo del Giornale e di Libero?

2. La rete è un luogo incredibile. Una miniera di diamanti, per chi ha pazienza e possiede gli strumenti giusti per "la ricerca".
Ma è anche, al contempo, uno campo sterminato dove si annidano infinite erbacce di ogni sorta; dove giacciono abbandonate vetuste assi dai chiodi arrugginiti; dove crescono bacche deliziose all'aspetto ma in realtà nocive - se non addirittura velenose - se solo si prova ad ingerirle. 

Che ne dite, non è forse giunto il momento di progettare un serio ed articolato percorso formativo sul buon uso della rete, che partendo dalla scuola primaria sviluppi la capacità dei futuri cittadini di discriminare le fonti affidabili da quelle inaffidabili?

Anche questo, in qualche modo, è fare cultura.

Che - si badi bene - oggi più che mai significa badare a formare una società più consapevole e dunque migliore.

Quello che dovrebbe essere uno dei primi obiettivi di una politica sana.

O sbaglio?


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