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venerdì 18 novembre 2011

Quando la Res Publica si affida a Cincinnato.

Lucio Quinzio Cincinnato

[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


Nel suo post Il governo-tecnico cattolico Ivan Scalfarotto scrive:
Se dovessi darne una definizione, “ministri tecnici” sono coloro che vengono scelti sulla base delle loro competenze e non sulla base delle loro convinzioni. Di più: le convinzioni dei “tecnici” dovrebbero essere del tutto irrilevanti e anzi sarebbe preferibile che tali convinzioni non fossero nemmeno di dominio pubblico. Si prenda il caso di Ignazio Marino, il cui nome non è nemmeno mai stato fatto in questi giorni per l’incarico alla Sanità. Certo nessuno può dubitare del fatto che Marino sia un “tecnico” eccellente: e tuttavia il fatto che le opinioni di Marino siano note fa sì che le sue indubbie competenze siano cancellate dalle sue opinioni politiche e che il suo nome non sia nemmeno preso in considerazione, causa la sua appartenenza al PD.
Alessandro Gilioli ha già osservato nel post Homo technicus che non esistono uomini neutrali:
 “l’essere neutrali non è di questo mondo, anzi non è di questa umanità”.
Concordo e aggiungerei qualche considerazione.

In un paese serio si intenderebbe per tecnico esclusivamente ciò che suggerisce la semantica.
Tecnico è colui che conosce l'arte, l'esperto (la parola greca τέχνη significa arte, mestiere e anche abilità).

Ora, se si ha bisogno di un tecnico non gli si chiede la sua fede politica: l'importante è che sia riconosciuta la sua professionalità. 
Se poi proprio non ci si fida, allora potrebbe invece essere più utile sapere quali siano le sue convinzioni politiche (piuttosto che non saperlo e scoprirlo quando è tardi).

In ogni caso poi, se la situazione d'emergenza è tale che occorre affidarsi ad un dictator - il magistrato straordinario della Repubblica Romana che non veniva eletto dalle assemblee popolari, ma nominato dai consoli, di concerto con il senato, per affrontare grandi emergenze - affinché questi risolva i problemi che la politica non è riuscita a risolvere, non dico di conferirgli il summum imperium ma almeno di lasciargli la piena libertà nella scelta dei collaboratori.

Ciò richiede la coerenza. Tutto il resto, a mio giudizio, è flatus vocis.

Un'ultima osservazione, infine, me la suggerisce il post Ci piace o non ci piace  di Antonio Padellaro.
Scrive il direttore de il Fatto Quotidiano
 “Non ci piace la sospensione della democrazia rappresentativa. Avremmo preferito andare subito ad elezioni”,
anche se poi ammette che quella del governo Monti è “un’occasione di riscatto che non si può assolutamente perdere”.

Ebbene, capisco perfettamente le perplessità e l'amarezza di Padellaro.
Ma c'è da dire che da noi, in Italia, in questo preciso momento storico, la democrazia rappresentativa è un lusso che non ci possiamo permettere.

Sono davanti agli occhi di tutti le nefande conseguenze delle scelte del popolo sovrano.

Tito Livio definì Cincinnato (il dictator per antonomasia) “Spes unica imperii populi romani”.

Io lo penso oggi di Mario Monti: è l'unica speranza del popolo italiano.