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sabato 17 settembre 2011

Berlusconi e il canto del cigno.


Presidente Berlusconi,

mentre la Procura di Napoli si danna per interrogarla quale vittima eccellente di un'estorsione, forse farebbe bene a riflettere su un fatto: la maggior parte degli italiani sta pensando in queste ore che se lei non temesse di tradirsi durante il suo stesso interrogatorio - cioè se non avesse niente da nascondere e nessuno da proteggere - si sarebbe già precipitato a rilasciare un fiume di dichiarazioni, anziché inviare inutili memoriali scritti.

Nel giorno in cui Repubblica.it pubblica l'audio di un'inquietante telefonata tra lei e Lavitola, da un punto di vista mediatico lei ritiene una buona mossa scrivere una lettera a Giuliano Ferrara.

Lo fa in risposta all'ennesimo, surreale editoriale dell'elefantino, inanellando tuttavia una serie di forzature logiche ed ingenuità concettuali da far impallidire qualsiasi purista del ragionamento.
Vorrei che le analizzassimo insieme, se non le spiace.
1. Non ho fatto mai nulla di cui io debba vergognarmi.
Veda Presidente, sarebbe forse giunto il momento che qualcuno provasse a spiegarle che il fatto che lei non provi vergogna per le vicende al centro delle inchieste che la vedono protagonista non significa di per sé che quanto ha compiuto sia accettabile e, come lei stesso dice, "incensurabile".

La sua popolarità è al 22%: posto che lei, Presidente, sia davvero convinto di non avere nulla di che vergognarsi, è forse il caso che cominci a chiedersi se quel 78% di italiani non si vergogni invece per lei, e anche parecchio. 
E questo - sia ben chiaro - indipendentemente da quello che ha fatto o non ha fatto.

La reputazione di un politico è quello che ne fa un uomo credibile agli occhi dell'opinione pubblica. Una cattiva reputazione, com'è la sua a tutti i livelli - nazionale e internazionale - è motivo ampiamente sufficiente per alzare bandiera bianca e uscire di scena.
2. E' del tutto inaccettabile e addirittura criminale che persone che sono solo state presenti a mie cene con numerosi invitati siano marchiate a vita come “escort”.
Presidente, ci rifletta per un momento: non crede che se una donna, dopo una "cena elegante" nella sua abitazione, riceve una busta contenente svariate migliaia di euro, possa legittimamente ritenere di essere stata trattata come una escort? Perché è di quello che parliamo.
Badi: che la singola signorina abbia o non abbia concesso a lei le sue grazie non fa alcuna differenza, ai fini del ragionamento. 

Se è come dico, capisce bene che la responsabilità prima di quel marchio da escort che lei lamenta per le sue squisite ospiti sarebbe da addebitarsi a lei e a lei soltanto. Altro che stampa e magistrati!

3. Mi dispiace anche, per fare un altro esempio, dei falsi pettegolezzi che sono stati creati grazie ai soliti brogliacci telefonici sulla signora Arcuri, che è stata invece mia ospite inappuntabile in Sardegna e a Palazzo Grazioli.
Questo Presidente è un abile quanto scorretto colpo basso
Lei sa bene che l'opinione pubblica sta osannando Manuela Arcuri per "il gran rifiuto" e dunque cosa fa? Cita l'osannata che "le ha detto di no" a dimostrazione del suo comportamento da galantuomo, per far passare l'idea che come non c'è stato niente con lei, non c'è stato niente con nessuna delle altre! 
Geniale e puerile al tempo stesso. Dia retta: non le crederanno.
Mica per altro: soprattutto perché sembrerà a tutti assolutamente contraddittorio rispetto a quelle decine di affermazioni fatte nelle sue conversazioni private, con Tarantini ad esempio, come quando riferendosi a Capodanno 2009 ebbe a dire al telefono: "erano in undici... io me ne sono fatte solo otto perché non potevo fare di più..."
Presidente, dia retta: sulle cene eleganti non potranno crederle.
4. Il problema però è che da tre anni è in atto un mascalzonesco tentativo di trasformare la mia vita privata in un reato.
Anche qui, Presidente, non ci siamo. 
Noemi, Ruby, Iris Berardi: sono almeno tre le minorenni che hanno orbitato nella sua vita privata in modo molto poco chiaro. 
Su Ruby ci sono situazioni ed evidenze francamente imbarazzanti (e il caso della nipote di Mubarak fa ancora sorridere chi ha finito le lacrime per piangere). 
Ma il problema è un altro: un Presidente del Consiglio di cui si sospetti - si sospetti, non "si sappia" - una passione per le minorenni, come dire, è fuori dai giochi. Bruciato. Disintegrato. Evaporato.
Con la mente a questi eventi, Presidente, è assi improbabile che la maggioranza degli italiani la consideri legittimata a scrivere lettere a chicchessia rivestendosi di carattere.
E ancora una volta, mi consenta: non si sta trasformando la sua vita privata in reato, si sta tentando di capire se - come sembra - lei ha commesso reati nella sua condotta quotidiana.
Se fosse così, anche in quest'occasione, tutta la responsabilità non sarebbe certo da ricondurre a chi ha indagato sui reati, bensì a chi i reati li avrebbe commessi, cioè lei Presidente.
5. Decine, centinaia di persone sono esposte al ludibrio e al linciaggio, senza alcuna remora sia quando si tratti di gente comune o di personalità della vita pubblica e di questioni di bottega domestica sia perfino quando si tratti di vicende che determinano lo status del Paese sulla scena internazionale. Non è mai successo prima.
Verissimo. Mai si era visto prima, infatti, una concentrazione così massiccia di gestione del potere effettuata tramite reti di persone. 
Un'intera nazione governata al telefono da faccendieri col dito facile che muovono le persone come pedine sulla scacchiera di un gioco di ruolo, dalle donne delle cene illustri ai generali con incarichi speciali.
Un paese le cui sorti si giocano al telefono fa presto a diventare il paese delle intercettazioni (e in questo non c'è proprio nulla di scandaloso, dunque). 

Ma fosse questo il problema, Presidente! 

Possibile le sfugga che a noi comuni mortali, di tutte quelle intercettazioni, non preoccupa affatto il numero, bensì il contenuto?
6. Ho cercato di mettere in campo gente nuova, estranea ai vecchi giochi dell’establishment, gente giovane e votata al “fare”. Questa campagna non è mai finita, si è nutrita di attacchi a me, al mio partito, ai miei uomini, ai miei ministri, alla generazione di giovani che ho promosso in politica, e si è sparso su tutti il magma eruttivo dello scandalismo per ridurre in cenere una alta popolarità e una grande speranza. 
Anche qui, Presidente, si fidi: quel 78% di italiani farà fatica a seguirla. 
Perché la prima cosa che verrà loro alla mente sono i posti per giovani come Nicole Minetti e Mara Carfagna, e subito dopo quelli promessi a giovani come Barbara Faggioli o Marysthell Polanco (da poco - caso strano! - a Milan Channel). 
Altro boomerang insomma, questa sua affermazione, ne converrà.
7. Ho presentato il mio governo alle Camere nel 2008 chiedendo uno sforzo comune per la crescita e proponendo una fase nuova e pacificata nella vita nazionale dopo le drammatiche divisioni del passato e l’imbarbarimento del linguaggio e dei metodi politici. Ho cercato di fare il mio dovere e di riunificare il Paese, come con il discorso di Onna il 25 aprile.
Oddio, Presidente, qui ha davvero esagerato. 
Lei che parla di pacificazione quando la sua discesa in campo ha spaccato l'Italia in due come mai nella sua storia repubblicana.
Lei che accenna a drammatiche divisioni quando sono anni che è lei stesso a suddividere gli italiani in intelligenti (quelli che votano per lei) e coglioni (quelli che non lo fanno).
Lei che parla di imbarbarimento dei metodi politici quando - per ammissione di alcuni parlamentari - proprio lei avrebbe eletto a sistema lo sport della compravendita all'interno del Parlamento. 
E ancora, osa accennare al 25 aprile, lei che ha mostrato di disinteressarsi sempre di quella storica festa nazionale, al punto da avervi partecipato per la prima volta nel 2009, dopo 15 anni dalla sua discesa in campo!
Non le crederanno Presidente: anche volendo, non riusciranno a farlo.
8. Ho ammonito tutti, nel gennaio di quest’anno, sulla necessità di arrivare alla primavera-estate, mentre nuove regole e parametri incombevano sul sistema finanziario europeo e mondiale, con la più grande frustata della storia al cavallo dell’economia.
Presidente, dopo il tonfo economico di quest'estate e il baratro in cui ci troviamo precipitati, davvero pensa che - a parte qualche sprovveduto - vi sia qualche italiano che riesca a ritenerla capace di presidiare la crisi economica? A maggior ragione dopo il tragicomico valzer della manovra estiva?

E poi, andiamo: dopo tutto quello che è successo, ancora con questa storia della frustata al cavallo di gennaio? 
Presidente, ha una benché minima idea, dopo tutti gli scandali di questi mesi, di qual è la prima cosa che viene in mente alla gente quando parla di frustate? 
Glielo dico io: non è l'economia. Poi faccia lei.
9. Io non mollo caro direttore.
Veda Presidente, che non molla l'hanno capito tutti, più che altro perché avrebbe tutto da perdere, mentre rimanere nella stanza dei bottoni ancora per un po' continua a darle l'illusione di poter salvare presto o tardi la situazione, trovare in qualche modo una via d'uscita.

Non accadrà. 
Non salverà alcunché; non vi saranno vie d'uscita. 
Che sia ora o fra un anno o nel 2013, l'Italia, Presidente, la congederà con disonore

Non avrà nemmeno l'onore delle armi, che si riserva soltanto a quei combattenti che si sono distinti per ardimento e coraggio.

Persa la reputazione, persa la stima di gran parte del suo stesso elettorato, crollato nei sondaggi e nella popolarità, l'unico atto vero di coraggio e di responsabilità davanti ad un paese allo sbando sarebbe quello di cedere il comando.

Ma lei è di quelli che, per non darla vinta a quelli che considera suoi nemici - i comunisti, le toghe rosse, la Procura di Napoli, il Tribunale di Milano, la stampa di sinistra, Gianfranco Fini, e chi più ne ha più ne metta - si inchioda letteralmente allo scranno, senza capire che così facendo si destina da solo ad una fine ingloriosa.

Questa sua lettera a Giuliano Ferrara ne è un saggio evidente: senza un barlume di logica; del tutto priva di una qualsiasi calibrazione contestuale. 
Quasi patetica, nella sua drammatica sconclusionatezza.

Un canto del cigno, in qualche modo.

Il più mal riuscito e scomposto canto del cigno che la storia di questo paese ricordi.