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giovedì 29 settembre 2011

Garantismo: le due facce della medaglia.


[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Alcuni intelligenti commenti dei nostri lettori, mi inducono a tornare su una vexata quaestio relativa all'ordinamento processualpenalistico.

In particolare ci si domanda come sia possibile che l'iter giudiziario non si arresti immediatamente qualora il Pubblico Ministero chieda l'archiviazione dell'indagine.

Ebbene, da un punto visto logico la risposta è univoca.

Il Gip  svolge come noto una funzione di garanzia dell'operato del Pm. Valutare questo operato significa tutelare l'indagato ma anche - lo si dimentica spesso - la parte lesa.

Dobbiamo sempre rammentare entrambe le facce della medaglia.

Sono due le parti che chiedono giustizia: gli indagati o imputati da un lato, le vittime dall'altro.

Ora, quando il Pm chiede l'archiviazione si può supporre che aumenti fortemente la probabilità che l'indagato sia innocente o che perlomeno manchino indizi sufficienti per sostenere l'accusa.
Su questo siamo d'accordo.
Ma in ogni caso la legge prevede il vaglio del Gip.
Il Pm infatti potrebbe essere in errore o in malafede.
Dobbiamo o no considerare - per quanta remota appaia - questa possibilità?
Il legislatore ha evidentemente ritenuto di doverla prevedere.

Nel caso, per esempio, del ministro Saverio Romano - trovate qui il mio post - il Gip non ha accolto l’istanza di archiviazione: prima ha convocato le parti, poi ha chiesto all’accusa di produrre gli atti del procedimento, ritenendoli indispensabili per decidere.
La mancata presentazione di quegli atti potrebbe essere maliziosamente interpretata.
Ma noi non lo faremo.
Dopo avere esaminato gli atti, il Gip poteva accogliere la richiesta di archiviazione, indicare ai Pm nuovi temi di indagine o disporre l’imputazione coatta. Ha deciso per quest'ultima.
Non vedo sul piano logico nessuna distinzione tra le tre opzioni.
Le carte, i fascicoli le intercettazioni  parlano e la loro voce può essere difforme da quella del Pm.
Quando poi si tratta di processi di mafia o, in generale, di criminalità organizzata, è naturale che le cautele debbano essere massime, in tutti i sensi.
Il Pm, in linea teorica, potrebbe avere ricevuto una telefonata del tipo:
"...L'altro giorno ha voluto fare il furbo. Io la volevo salvare ma da questo momento non la salvo più. Lei è degno solo di morire, ammazzato come un cornuto. Lei è un cornuto e un bastardo!"
Forse un po' cinematografico, penserete, ma purtroppo le parole che avete appena  letto sono fedelmente tratte dalla telefonata ricevuta da Giorgio Ambrosoli *.

Direi dunque che mai come in questi casi si rende necessaria la sospensione del giudizio.


Come non ci azzardiamo a giudicare l'intervento di un neurochirurgo o la pubblicazione di un fisico nucleare non dovremmo parlare e straparlare di inchieste, magistrati, avvocati, processi fidando solo nell'intuito, senza avere gli strumenti tecnico-giuridici, senza conoscere i fatti e senza aver letto gli atti (che peraltro non potremmo comprendere dal momento che non siamo del mestiere).

Però, come possiamo giustamente lamentarci del trattamento ospedaliero, possiamo lamentarci legittimamente del trattamento giudiziario, cioè del funzionamento della macchina giudiziaria. E qui i cahiers de doléances purtroppo avrebbero molte pagine. Ma poiché quello del magistrato è un lavoro delicatissimo, anziché giudicare i processi dobbiamo pretendere che siano messi in atto tutti gli sforzi possibili per avere una magistratura onesta, efficiente e preparata: severa selezione, leggi, personale e mezzi adeguati.

Questo dobbiamo pretendere dallo stato, questi gli obiettivi da perseguire per i quali è giusto e sacrosanto alzare la voce.
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*Riascoltiamo le due telefonate che l'avvocato Giorgio Ambrosoli - un eroe borghese come ebbe a definirlo Corrado Stajano - ricevette dalla mafia prima di essere ucciso da un sicario ingaggiato da Michele Sindona. E già che ci siamo rileggiamo la sua bellissima, straziante lettera testamento alla moglie.