[Dall'amico Ivo Flavio Abela riceviamo e volentieri pubblichiamo]
Sotto i Borboni il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più ricco fra tutti quelli italiani preunitari ed il terzo, in ordine di importanza (economica e culturale), di tutta Europa (disponendo di industria siderurgica, linea ferroviaria, navi a vapore). I Savoia vennero a rubare tutto per rifarsi delle spese sostenute nelle imprese militari della prima metà dell'ottocento. Garibaldi si prestò al gioco dopo avere ricevuto lauti finanziamenti dagli inglesi (massoni compresi), ai quali interessavano soltanto le miniere di zolfo siciliane, peraltro dopo avere ricevuto anche una serie di benemerenze economiche dalla signora Nelson, moglie dell'ammiraglio proprietario della ducea vicino Bronte. I famigerati Mille erano poco più che avanzi di galera (per ammissione dello stesso Garibaldi del resto). Garibaldi e i Savoia portarono guerra nel Sud: la loro non fu una spedizione tesa a dare libertà al meridione, ma una vera e propria guerra di annessione coloniale, peraltro mossa al Sud senza formale dichiarazione (atto contrario anche alla più elementare norma di Diritto Internazionale). I Mille e i Savoiardi massacrarono almeno un milione di persone del Meridione (i massacri di Bronte, Pontelandolfo, Casalduni e le deportazioni di Fenestrelle sono gli episodi più tristi e più vergognosi che si possano ricordare). Non contenti, i Savoia aggiunsero dieci tasse alle quattordici già esistenti sotto i Borboni. Imposero la coscrizione obbligatoria (che all'epoca durava sei anni con la naturale conseguenza di strappare alle famiglie meridionali gli uomini che avrebbero dovuto mantenerle).
Non condivido dunque il fatto che il 17 marzo 2011 il Presidente Napolitano abbia invitato i membri di Casa Savoia al Pantheon con la retorica giustificazione che Vittorio Emanuele II sarebbe stato il padre della patria.
Non condivido dunque il fatto che il 17 marzo 2011 il Presidente Napolitano abbia invitato i membri di Casa Savoia al Pantheon con la retorica giustificazione che Vittorio Emanuele II sarebbe stato il padre della patria.
Garibaldi, i Savoia, Nievo, Bixio, Cialdini, ecc. ecc., erano tutti leghisti ante litteram. Dobbiamo a loro se ancora oggi il Meridione italiano non ha risolto tutti i suoi problemi. Dobbiamo a loro se abbiamo avuto un Governo che ha aperto le porte alla Lega Nord affidandole alcuni ministeri. Basterebbe che scrittori come Pino Aprile, Giordano Bruno Guerri, Alberto Maria Banti, Gigi Di Fiore, iniziassero ad essere letti. Ciò non significa inneggiare al Regno delle Due Sicilie e ai Borboni: sarebbe fin troppo anacronistico. Anzi ucronistico. Ma il Meridione merita un riscatto quantomeno morale. Probabilmente i Borboni sono stati i più "onesti" fra quanti hanno dominato la Sicilia (lo stesso splendore di cui la storiografia ufficiale favoleggia a proposito di Federico II andrebbe ridimensionato. Per fortuna c'è già chi lo sta facendo): i Borboni investirono sul Meridione. E lo fecero in loco. Di certo non lo depredarono. Dopo l'arrivo dei Savoia le industrie furono smantellate e trasferite al Nord. Ma soprattutto si generò il fenomeno (conseguente) dell'emigrazione che prima il Meridione non aveva mai conosciuto.
Vero è che il Risorgimento fu fatto anche da chi ci credeva (ma non facciamo per carità risalire le origini del Risorgimento alla Repubblica delle Lettere, come fanno certi sedicenti studiosi fin troppo imbevuti di idealismo hegeliano). Ma quanti erano coloro che credevano nella necessità di fare l'Unità? Pochi. La popolazione del Meridione fu sedotta grazie alla prospettiva della distribuzione di terre. Perciò aderì alla propaganda dei mille diavoli rossi (come oggi qualche accademico romanticamente li definisce), ingrossandone le schiere fino a raggiungere il numero di circa 50.000 uomini. Ma, conquistato il Meridione, la promessa non fu mantenuta: le terre non furono distribuite. Potrà essere obiettato che tutto ciò fu fatto col beneplacito dei latifondisti meridionali complici della borghesia nordista (la tesi di Gramsci, per intenderci). Verissimo. Ma uno Stato che si rispetti (e quale l'Italia appena unita voleva apparire) avrebbe dovuto impedirlo. E comunque ciò mette a maggior ragione in luce la malafede dei nordisti conquistatori.
Si dice pure che determinate forze parassitarie e mafiose fossero già ben presenti anche nel Mezzogiorno borbonico delle Due Sicilie (chi lo afferma fa spesso confusione fra mafia e brigantaggio). Peccato però che con l'Unità d'Italia tali forze, anziché essere combattute, siano state tacitamente accolte in una sorta di "circuito" nazionale e se ne sia garantito l'appoggio alla causa unitaria, scegliendole come serbatoi di voti per l'elezione di individui che non solo avrebbero lasciate tranquille quelle stesse forze, ma si sarebbero pure resi complici dei loro misfatti. La mafia andava combattuta, non ammessa in Parlamento.
Impossibile dire se il destino del Meridione sarebbe stato diverso senza l'Unità (ovvio). Ma riaffermare la verità servirebbe a evitare il ripetersi di certi errori. In fin dei conti è questo il vero compito della Storia (anzi ... della Storiografia!): destrutturare il passato smascherandolo (talvolta la maschera è stata proprio costruita da storiografi poco obiettivi) per aiutarci a progredire nel più efficace dei modi.
Ivo Flavio Abela
Ivo Flavio Abela