Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 3 novembre 2010

L'eterna partita fra Rossi e Neri.



Roma. Liceo Giulio Cesare, 1990, 20 anni fa.

Avevo quasi 18 anni. Ed era l'anno della mia maturità classica.

Si teneva in Aula Magna una conferenza sul terrorismo. Ad un certo punto del dibattito (bellissimo, appassionato), un giornalista (quanto vorrei, oggi, ricordarne il nome) disse con forza, con marcato accento siciliano:

"Noi dobbiamo smetterla, una buona volta, di giocare a Rossi e Neri".

Questa frase, al pari di altre che costellano la mia memoria, me la porto dietro da allora, da quella conferenza, con l'odore delle idee che si spandeva in quell'aula ancora forte nelle narici.

Cosa è cambiato da allora?

Tanto.

E poco.

Tanto: Tangentopoli, due anni dopo (1992), il terremoto giudiziario di Mani Pulite, la polverizzazione del sistema partitico - Partito Socialista in primis, ma anche la Democrazia Cristiana - le stragi di Capaci e di Via D'Amelio, che spazzarono via le vite di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (e non solo le loro). La discesa in campo di Berlusconi, e via fino ad oggi.

Poco: Rossi e Neri ieri, Rossi e Neri oggi. Siamo ancora gli stessi.

Impero e Papato, Guelfi e Ghibellini, Camillo e Don Peppone, Comunisti e Fascisti, Postcomunisti e Postfascisti, Berlusconiani e Antiberlusconiani.

"Rossi e Neri", appunto. Fa parte della nostra storia.

E qui sta il punto.

In un bellissimo post di due giorni fa, Alessandro Gilioli poneva la questione dei finiani che hanno la possibilità e la responsabilità di staccare la spina del Governo Berlusconi e concludeva così il suo articolo:

Ma credo che ogni persona, qualunque cosa abbia fatto, sia pur sempre un impasto di coraggio e di paura, di onestà intellettuale e di opportunismo contingente, di libertà e di prigionia interiore.
Sta a loro, in questo momento, decidere cosa far prevalere.

A queste parole sono seguiti commenti molto accalorati, il cui senso prevalente era: Gilioli è un ottimista, perché Fini &Co. fino ad oggi sono stati con Berlusconi e hanno votato sempre con lui, dunque quello che stanno facendo è figlio dell'opportunismo e di nient'altro.

A queste osservazioni, che io comprendo bene, ho voluto rispondere nel post di Gilioli e affermare con forza che io, invece, sono d'accordo in tutto e per tutto con le intense parole che ha scritto.

Nessuno è mai "del tutto diavolo" o "del tutto acqua santa". Nessuno di noi, intendo. Di voi che leggete, di me che scrivo.

Questo vale per Berlusconi, per D'Alema, per Fassini, per Vendola, per Di Pietro, per Grillo.

E questo vale anche per Fini.

Certo, Berlusconi incarna un modello etico, se non sbagliato tout court, certo discutibile e comunque, molto verosimilmente, dannoso. Ma anche Berlusconi non è "il male". Solo, non mostra cedimenti nel riproporre il suo modello e, se mi consentite, avendo avuto la possibilità di dimostrare che era capace anche di rappresentare altro, di indubitabilmente positivo intendo, se l'è letteralmente "fumata" anno dopo anno, legislatura dopo legislatura. Fino all'epilogo delle ultime settimane, che si prospetta tragico e che, ve lo assicuro, intristisce e deprime, per la vicenda umana, anche chi come me è da sempre grande detrattore dei valori da lui proposti (il culto del "machismo", la filosofia della "donna oggetto", la propensione a "comprare" il favore degli altri, là dove il carisma non basta...).

La vicenda di Fini è diversa. Fini ha cominciato a segnare una svolta significativa nella sua carriera politica da quando è stato eletto Presidente della Camera. E' vero: ha votato per anni le leggi "ad personam", ma questo non significa che oggi non dica il vero quando parla di legalità, di diritto degli immigrati, dell'importanza di pagare le tasse, del rispetto delle Istituzioni, di leggi per il bene della collettività. (cose che a più riprese ha cominciato a sostenere da anni).

In momenti drammatici, come quello che stiamo vivendo, in cui il contesto si inasprisce e dilagano pericolose forme di amoralità e di individualismo, dobbiamo rifuggire dall'ottica per cui "o si è giusti sempre o non lo si sarà mai". Perché, semplicemente, non è così.

Il che significa, da sinistra come da destra come dal centro, che appoggiare Fini in questo momento, credergli, vuol dire dare spazio a ciò che di buono sta esprimendo oggi la destra italiana (parlo dei valori veicolati). E significa avere una speranza concreta per sparigliare. Per provare a voltare pagina.

Pensiamoci: chi voterà Fini, alle elezioni prossime, epurate la dimensione fascistoide e quella berlusconista, non saranno i rappresentanti di una destra "sana", come dovrebbe essere, una destra con la quale confrontarsi, e ovviamente distinguersi, sull'approccio ai problemi, ma non sui valori fondanti (etica e  senso della collettività su tutti), perché quelli saranno finalmente comuni.

E forse potremo ricominciare. A parlare di politica senza storcere la bocca. O a smettere di parlarne per quel senso di nausea che ci prende allo stomaco negli ultimi anni.

Perché la politica, volenti o nolenti, è il sale della vita sociale di ognuno di noi.

Fare politica vuol dire prendere le decisioni giuste per la collettività. Vuol dire capire come crescere insieme e far crescere i nostri figli, e i figli dei nostri figli, in un paese migliore.

Smettendola, una buona volta, ora e per sempre, di giocare all'infinita e perdente partita dei "Rossi e Neri".


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