Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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domenica 26 febbraio 2012

I figli sono come aquiloni.


[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


Sono rimasto particolarmente colpito da una lettera - pubblicata su un noto blog - di una mamma fiorentina che scrive per rappresentare le vicende del figliolo quasi quarantenne. Ne tralascio la prima parte - in cui la signora dice che lei e il marito hanno una discreta pensione - e trascrivo l'ultima:
Ed eccoci all'acqua, come si dice a Firenze: nostro figlio ha quasi 39 anni e,come ho già detto è un giornalista P.I., quindi precario a pieno titolo. Alla fine del mese riesce a "raccattare" circa 1500 Euro e, tutto sommato, non gli va troppo male visto il reddito medio dei suoi colleghi. Circa la metà di quello che guadagna serve per far fronte alla rata del mutuo (ottenuto con la nostra garanzia) e, con quello che rimane deve pagare le bollette, il condominio, i contributi INPGI e...vivere.Nel lontano 1972, quando ci siamo sposati, mio marito e io avevamo in programma di fare almeno tre figli ma, lavorando ambedue a tempo pieno e non avendo a disposizione strutture adeguate dove "parcheggiare" (si dice ancora così?) la prole, ci siamo fermati a uno.E meno male, diciamo oggi! Meno male perché con le nostre, sicuramente ancora per poco, decorose pensioni siamo in grado di aiutare il nostro unigenito figlio (se fossero stati tre...meglio non pensarci).E veniamo al nocciolo: i timori, le ansie, anzi le vere e proprie paure dei tanti genitori che vivono situazioni come la nostra (e anche peggiori) nel contesto economico e sociale che si è venuto a creare. Sono tante queste paure e ci portano a chiederci: "ma se ci succede qualcosa, a noi, lui come farà ad andare avanti?"
Cercando di sdrammatizzare dico a mio marito che noi, almeno per il momento, non ci possiamo permettere di ammalarci e meno che mai di morire perché dobbiamo "portare a casa la pensione". Ma il tempo passa veloce, la crisi invece resta e prima o poi tutti ce ne andiamo: mi auguro allora, quando giungerà il momento, di fare una partenza rapida, soprattutto a costo zero e possibilmente in coppia, almeno così nostro figlio potrà disporre della nostra casa per avere ancora un po' di "ossigeno", sempre che riesca a venderla o ad affittarla!


Cara Signora intanto mi permetta di dire che lei non cerca affatto di sdrammatizzare.

Se questi sono davvero i timori, le ansie, anzi le vere e proprie paure dei tanti genitori che vivono situazioni come la vostra io resto basito.

Non vedo, infatti, ragioni per cui una coppia che dovrebbe essere ancora giovane - i sociologi attualmente considerano i 75 anni l'inizio della vecchiaia - non pensino anche a se stessi, a realizzare sogni e progetti che si possono realizzare solo in quiescenza: si può leggere, visitare mostre e musei, viaggiare, iscriversi all'università della terza età, andare a sentire conferenze, andare al teatro, al cinema, giocare a carte, frequentare di più gli amici, passeggiare, coltivare fiori, fare volontariato. Specialmente in una città come Firenze le opportunità non mancano. Possibile che esista un'unica preoccupazione, un solo problema, un solo interesse?

Credo proprio che i figli se la caveranno anche senza di noi, come è legge della natura.

Infine, non voglio certo fare l'apologia del precariato ma chiunque abbia un lavoro autonomo può definirsi o sentirsi precario nel senso che non ha il "famoso posto fisso". Cosa dovrebbero fare gli autonomi? E chi precario con 1500 euro al mese ha un lavora in fabbrica e magari ha anche due o tre fratelli deve andare subito a Lourdes?

Ritrovi la serenità mia cara Signora e mi permetta di dirle che la vostra condizione non ha nulla di patologico.

Lasciamo che i figlioli vivano la loro vita.

"I figli sono come aquiloni" come ci dice Erma Bombeck nella sua splendida poesia:
I figli sono come gli aquiloni,
passi la vita a cercare di farli alzare da terra.
Corri e corri con loro
fino a restare tutti e due senza fiato…
Come gli aquiloni, essi finiscono a terra…
e tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.
Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri
che presto impareranno a volare.
Infine sono in aria:
gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne.
E a ogni metro di corda
che sfugge dalla tua mano
il cuore ti si riempie di gioia
e di tristezza insieme.
Giorno dopo giorno
l’aquilone si allontana sempre più
e tu senti che non passerà molto tempo
prima che quella bella creatura
spezzi il filo che vi unisce e si innalzi,
come è giusto che sia, libera e sola.
Allora soltanto saprai
di avere assolto il tuo compito.


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Commenti (7)

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Prof. Woland.
1 risposta · attivo 683 settimane fa
nessun problema...e ciò va a vantaggio sia della signora fiorentina, che di Martone.
Complimenti per la scelta della poesia e della sempre perfetta analisi
mi colloco a metà strada, caro prof. w., fra le sue considerazioni e quelle della madre fiorentina

condivido con lei, prof. w., che è abbastanza sbagliato un atteggiamento iperprotettivo verso un uomo di quasi quarant’anni che, in definitiva, ha scelto, sapendo di che si tratta, un lavoro notoriamente poco e mal pagato (se non sei nel giro giusto), ed è giusto ragionare sul fatto che «deve» cavarsela da solo, altrimenti quando arriva l’età adulta? oggi abbiamo il rischio di un’adolescenza che si protrae oltre il 40esimo anno di età

condivido con lei, caro prof. w., e non ci arrivano in molti a capirlo, che un artigiano (come me) è sempre precario, è sempre col problema che se non stai al passo coi tempi finisci male, e non c'è un qualche ufficio dove ti ficcano per farti arrivare alla pensione, come capita magari ad un dipendente statale a fine carriera

e fin qui son d’accordissimo con lei, prof. w.

però c'è un aspetto, di quel che narra la mamma fiorentina, che a mio avviso non è del tutto eludibile, ed è, in fondo, il problema del nostro tempo: si prova, quasi fisicamente, la sensazione che i nostri figli se la passeranno molto peggio di noi, si prova la sensazione che una generazione si è mangiato il primo, il secondo, il contorno, il dolce e quella successiva, sedendosi a tavola, se gli va bene, deve mangiare gli avanzi e soprattutto pagare il conto di quel che hanno mangiato gli altri

i padri in pensione a 50 anni e i figli, in pensione mai, è questo che non va

una classe politica corrotta, una classe dirigente rapace, ladra, una casta di privilegiati estesa e ampia, ha poi alla fine, completato l'opera

e quindi la sensazione è quella lì: sapere che staranno molto peggio di noi, come genitori, ci angoscia non poco

My recent post esplorazioni, sete di conoscenza e poteri
1 risposta · attivo 683 settimane fa
Caro Diego,
sono d'accordo con lei sul fatto che - come si suol dire - sembrerebbe essersi arrestato l'ascensore sociale cosa che non è affatto gradevole. Ma ciò che criticavo nel post era l'incapacità di uscire dal proprio piccolo recinto. Basta guardarsi un po' intorno per capire che la situazione di quel figlio ‘e mammà non è affatto disastrosa anzi forse è addirittura privilegiata.
Infine volevo anche segnalare che la nostra angoscia deve semmai avere per oggetto l'umanità e non i nostri figlioli. Capisco che questo potrebbe essere un concetto ostico nel paese dell' Amoral familism (si veda Edward C. Banfield: The Moral Basis of a Backward Society), ma vale la pena ripeterlo.
Grazie comunque per l'interessante commento.
"sembrerebbe essersi arrestato l'ascensore sociale cosa che non è affatto gradevole"

caro prof. w., lei è come sempre elegante e plastico nelle metafore, ma io credo che ella pecchi di ottimismo;
non si è fermato l'ascensore sociale, sta proprio scendendo verso il basso, nel senso che i figli, cioè la generazione che segue, sta scivolando verso una vera e propria condizione di miseria

magari fossimo fermi, stiamo scendendo rapidamente agli scantinati

è vero, ci vuole una visione d'insieme, il problema o viene affrontato globalmente, o il destino è una lacerante guerra fra poveri

però è ovvio che ognuno parte dalle sue esperienze private, per poter "narrare" il tempo in cui vive, e quando vedo che mia figlia, laureata, guadagna molto ma molto meno di me alla sua età (ed io ero un semplice operaio), non posso non farci caso

sicuramente bisogna evitare che amarezza, risentimento, cieco spirito ribellista, prevalgano su una visione razionale, realista, oggettiva di quel che accade, resta però il fatto che, nonostante le meraviglie della tecnica, nonostante le meravigliose capacità dell'umano ingegno, la forbice, il divario, fra chi ha molto, moltissimo, e chi ha poco e sempre di meno avrà, si allarga inesorabilmente

non sono sicuro che potremo uscire "normalmente" da questa curva a gomito della storia, era decisamente meglio esser nati un po' prima e aver già restituito il nostro corpo alla madre terra, senza vedere quel che accadrà

mi perdoni, prof. w., lei è uomo che stimo e ammiro per la nitida e direi rinascimentale intelligenza, ma non voglio nasconderle il mio stato d'animo, in questo cupo inizio millennio
A me la metafora dell' "ascensore sociale" non piace molto. L'ascensore ha uno spazio ristretto e sono in troppi a volerci salire, è ovvio, quindi, che questo mezzo non sia accessibile a tutti. Il problema, secondo me, però, è ben più ampio. Noi abbiamo educato i nostri figli ad avere tutto o quasi e adesso ci sentiamo in colpa perchè temiamo che senza di noi non potranno farcela. A tal proposito aggiungo e mi chiedo se sia lecito affermare che un guadagno di "soli" 1.500,00 euro sia poca cosa, se sia giusto, poi, usare il verbo "raccattare" nel caso in cui il guadagno è rappresentato da soli 1.500,00.
A me sembra che così non li aiutiamo, anzi li commiseriamo e li facciamo sentire inadeguati. Ma, ci rendiamo conto che tanti 40enni, 50enni e oltre il lavoro non ce l'hanno proprio? Noi, credo, dovremmo insegnare ai nostri figli a vivere il nostro tempo e ad apprezzare il lavoro che riescono con difficoltà a trovare. Io guadagno così, esattamente 1.500,00, pago il mutuo, le bollette (è vero che sono sempre in arretrato) e mangio ed ho un figlio che vive con me e il lavoro proprio non ce l'ha.
Per quanto riguarda le problematiche sociali direi che va fatto un passo indietro rispetto alle aspettative per i nostri figli, noi possiamo insegnar loro ad adattarsi commisurando il loro stile di vita al corrispettivo economico ed abbiamo il dovere di impegnarci in tutti gli ambiti della nostra vita per cercare di far cambiare i costumi che hanno reso questo tempo così difficile da vivere soprattutto per le giovani generazioni.

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