Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 13 settembre 2010

L'insegnante ideale? Il segreto sta nella relazione.

Com'è l'insegnante ideale?


Sabato scorso, 11 settembre, si è chiuso il sondaggio sull'insegnante ideale lanciato due settimane fa.

Mi è parso utile lasciare un paio di giorni di riflessione e parlarne oggi, giornata di inizio ufficiale dell'anno scolastico.

Partiamo dai risultati. Il sondaggio chiedeva di scegliere quale secondo voi era la competenza chiave in base alla quale selezionare un insegnante. Avete risposto così:

Rigore: 2%
Conoscenza delle discipline: 19%
Capacità d'ascolto: 17%
Capacità di relazionarsi: 43%
Imparzialità nel valutare: 12%
Mitezza caratteriale: 0%
Competenze tecnologiche: 4%.

Come si vede, pertanto, la maggioranza di voi ha scelto la capacità di relazionarsi; seguono a ruota la conoscenza delle discipline, la capacità d'ascolto, l'imparzialità nel valutare, e così via.

La prima considerazione che mi viene spontanea è che, seppure in un momento storico in cui la disciplina (intesa come rispetto delle regole) è uno dei problemi quotidiani con cui si scontrano gli insegnanti nel condurre il gruppo classe, la percezione della competenza "rigore" non è stata fra quelle considerate primarie.
Dai risultati derivanti dalla somma fra la capacità di relazionarsi e la capacità d'ascolto, che insieme raggiungono il 60% delle vostre preferenze, mi viene da pensare che le due cose siano collegate: da un lato cioè l'ottica moderna con cui si guarda alla didattica fa sì che vi sia una richiesta di minor rigore (magari rispetto ad una volta?) e di maggiore capacità, invece, di costruire una relazione significativa (che comprenda anche un attento ascolto) fra insegnante ed alunno.

Mi occupo da sei anni di formare gli insegnanti e devo dire che sono piacevolmente sorpreso da questi risultati! Tutte le teorie e gli studi che riguardano la pedagogia sono oramai unanimemente concordi nell'affermare che una buona relazione fra insegnante ed alunno costituisce la base fondamentale su cui poggia l'apprendimento scolastico.

Se l'insegnante stabilisce un rapporto di fiducia con i singoli ed investe risorse ed energie intellettuali sulla costruzione di quello che viene chiamato in gergo semplificato "un clima d'aula favorevole", gli studi hanno dimostrato che l'apprendimento degli alunni diventa, come si dice, "significativo", e cioè resta, non si volatilizza, rimane dentro.

La scoperta, se così si può chiamare, sembra un po' quella dell'acqua calda. Ma riandiamo col pensiero al passato vissuto sui banchi o a qualche chiacchierata, se l'abbiamo fatta, con certi insegnanti: non è forse vero che per molti alunni il terrore (dell'interrogazione, del voto, della figuraccia sottolineata puntualmente dal Prof. davanti agli altri, ecc., ecc.) era a volte la principale molla motivazionale per studiare e su questo, sapendolo, facevano dunque leva alcuni (o molti) insegnanti?!

Col risultato però, ammoniscono gli esperti del settore, che una volta terminata l'esigenza emotiva che ci "caricava" (e dunque terminata l'interrogazione, l'esame, ecc.), potevamo tranquillamente buttare tutto nel dimenticatoio. E così via all'infinito, in un ciclo perverso di "manda a memoria-dimentica-manda a memoria-dimentica" che produceva sforzi immani e grandi dispendi di risorse, lasciando poco o nulla dentro (se non qualche poesia a memoria!) dal punto di vista dell'apprendimento (perché se cancello, o dimentico, ovviamente, non ho appreso, così come se ricordo ma  non associo un significato!).

Acqua calda, insomma: ma quante docce fredde abbiamo preso e quanto abbiamo cestinato senza apprendere, per un insegnamento impostato sul modello della relazione terroristica, mi si passi il termine, o, nel migliore dei casi, della non relazione?

E di cos'è che sentono la mancanza quegli studenti che nella ricerca di Comunicazione Perbene sognano (il 63%) un professore alla Robin Williams nell'Attimo fuggente? Ma di relazione, naturalmente.

Il piacere di studiare passa (anche)
dalla corretta relazione con l'insegnante.
Di quella relazione che voi avete indicato come competenza chiave!

E gli studi danno ragione proprio a voi che avete votato! E dicono che sì, le discipline da insegnare vanno naturalmente conosciute dai docenti, ma che accanto a quelle, sono di fondamentale importanza, appunto, le competenze relazionali: saper comunicare in modo adeguato, non agire in base a pregiudizi, mantenere un equilibrio nel trattare gli altri con imparzialità ed uguaglianza, saper ascoltare le esigenze dei singoli alunni, saper motivare e cambiare strategie motivazionali a seconda di chi si ha davanti, conoscere delle tecniche di gestione dell gruppo, sapersi mettere in discussione, e via dicendo.

Troppe competenze, dite? Chissà!

Mettiamola così: andate con la memoria a qualche Prof./Prof.ssa, o Maestro/a che vi ha folgorato positivamente e che per voi era un modello di insegnamento (augurandomi che uno così l'abbiate incontrato, almeno una volta nella vita!). E una volta ripescato dalla memoria il soggetto, provate a spuntare la casella delle micro competenze appena elencate. 
Non voglio esagerare, ma quel docente non possedeva diciamo almeno il 70% delle qualità indicate?!

E veniamo al punto dolente. Il sistema educativo italiano, oggi, deve ancora arrivare alla consapevolezza totale che la costruzione di una 'vera' relazione, in ambito didattico, viene prima di tutto. E che bisogna selezionare gli insegnanti (anche) in base a queste capacità, nient'affatto scontate.

Sapete chi è avanti anni luce, statisticamente? I maestri elementari. Lì c'è innanzitutto una selezione 'naturale' (solo dei "missionari" possono dedicare la loro vita, sottopagati, all'educazione e alla crescita di "figli adottivi"!), e poi c'è un'importante tradizione fatta di studi psicopedagogici, di tirocini, di auto-formazione sulle metodologie didattiche.
Quello che manca per le scuole medie, per le superiori, per le università.
E la domanda è: per quale motivo non è ritenuto importante in tutti i livelli di istruzione sapersi relazionare e comprendere le problematiche psicopedagogiche?
Si pensa forse che compiuti i 10 anni un ragazzino, e poi un adolescente, e poi un ventenne siano oramai del tutto autosufficienti (dal punto di vista emotivo) e ci si possa pertanto concentrare quasi esclusivamente sulle discipline?

Permettetemi: balle. E colossali, per giunta.

Le Scuole di Specializzazione post-universitarie (le famigerate SISS) avrebbero dovuto formare gli insegnanti a queste competenze. Hanno fallito (ed infatti stanno lentamente morendo) riproducendo, nella stragrande maggioranza dei casi, dei doppioni dei corsi universitari già svolti dai laureati frequentanti.
Col risultato di fornire un'abilitazione, di fatto, poco o per nulla rispondente alle reali esigenze. Insegnanti cioè ancora più preparati sulle discipline, poco e male sulle competenze psico-pedagogiche.

Tornando al nostro sondaggio, se gli utenti della scuola (che siamo noi) hanno ben chiara la figura dell'insegnante ideale come emerge dai vostri voti (considerando voi, per affetto, come campione di ricerca attendibile!), la figura dell'insegnante, con le sue caratteristiche necessarie, non appare invece ben chiara a chi gli insegnanti li sceglie e progetta i programmi per la loro formazione.

Nella speranza che al Ministero della Pubblica Istruzione arrivino prima o poi persone notevolmente competenti e dall'approccio moderno alla didattica, non ci resta dunque che alzare la voce, come genitori (e come insegnanti, perché no), su quello che spetta: un insegnante con competenze relazionali.

Rammentando comunque, in ogni caso, che l'insegnante, davanti ai figli, non va mai squalificato: fra insegnante e genitori infatti deve esserci un patto d'acciaio, che ha come obiettivo la crescita dei giovani, possibile solo con una grande coerenza dei metodi educativi e con una forte alleanza fra i ruoli coinvolti (famiglia-scuola).

Ne va del futuro dei nostri figli, che saranno nientemeno che la società di domani.

Ora a voi la parola! Come la vedete una riforma scolastica che parta da questi presupposti di base?

[Sullo stesso temaScuola sotto esame: gli studenti bocciano metodi e insegnanti.]

[Approfondimenti: Guido Petter, Il mestiere di insegnante. Aspetti psicologici di una delle professioni più interessanti e impegnative, Giunti Editore, Firenze, 2006; pp.256. Trovate una sintesi agile QUI]

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4 commenti:

Luk75 ha detto...

capacità d'ascolto e conoscenza delle discipline sono i due cardini per un buon insegnante...

Anonimo ha detto...

Dalla conoscenza della disciplina ovviamente non si può prescindere ed è per questo che molti, con il solito errore di logica, scambiano una condizione necessaria con una sufficiente. Come dimostra l'articolo poi la capacità d'ascolto è anch'essa necessaria ma non sufficiente. Occorrono altre doti e competenze : altrimenti basterebbe la confessione a risolvere tutti i problemi. In una parola l'insegnante deve possedere una vera professionalità che non è, di solito, innata ma va conseguita con seri studi.
Max

Anonimo ha detto...

Credo che questo sia il posto giusto per provare a diffondere un concetto che riguarda la scuola pubblica e che in questo paese è considerato politicamente scorretto.Esso è riassunto dalla seguente lettera inviata da me alla repubblica:

" sono sbalordito dal modo con cui si continua a concepire, in Italia, il diritto scolastico. Avete letto l’articolo di Zucconi sulla sanità in America: malati di cuore che non possono permettersi di acquistare i betabloccanti (pochi dollari!). Un parto costa al privato 25.000$ e 50.000$ se cesareo. Qui tutto gratis e il paese con le pezze. Conosciamo tutti persone di medio o basso stato sociale che si lamentano per un ticket di pochi euro e poi viaggiano, fanno cerimonie costose di matrimonio, di comunione, di laurea. Sempre Zucconi ci dice che una scuola elementare discreta costa, negli USA, anche 40.000$ l’anno. Vi prego spiegatemi perché non possiamo contribuire ( 50 euro al mese?40, 30, 20?) alla gestione delle nostre scuole. Numerosi bambini spendono per merendine, figurine e gadget vari cifre ben più consistenti. Molti fanno settimane bianche, gite, vanno a danza, in palestra, piscina e così via. La scuola pubblica muore per un incredibile populismo. Una classe di 25 bambini potrebbe facilmente contare su un migliaio di euro al mese: quante cose si potrebbero fare per quella classe. Invece le scuole sono senza carta igienica. Sul tempo pieno stendo un velo e rimando agli articoli di Citati. Certo è che non capisco perché chi ha un buon reddito non possa pagarsi il tempo pieno. Naturalmente per i veri bisognosi poi ci sarebbero le borse di studio."
Prof. Woland

Anonimo ha detto...

Da insegnante che riesce a ben relazionarsi con le classi credo che questo tipo di capacità sia in qualche modo innata, come l'attitudine alla musica, alla matematica o all'abilità manuale.

Certo tutto si può migliorare. La cosa che mi fa ridere amaro è che alla SIS (dove venivano propinate teorie che non stavano nè in cielo nè in terra) io sono stato considerato il peggiore del corso. Per fortuna studenti e genitori con i quali lavoro la pensano diversamente, e questo non ha prezzo.

Questo anche per dire quel che penso sulle ormai (e per fortuna) defunti SIS.

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