Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 30 gennaio 2012

Tu chiamale, se vuoi, “rimozioni”.

Giuliano Ferra visto da Edoardo Baraldi

Niente, solo per condividere la netta sensazione che l’uscita di scena del Caimano abbia mandato definitivamente in bambola parecchi fedelissimi.

Uno a caso: Giuliano Ferrara.

Che sul Giornale online, nell’ennesimo articolo salva-Silvio, scriveva ieri (grassetto mio):
Berlusconi ha vinto tre volte le elezioni, è stato all’opposizione per undici anni complessivi da quando entrò in politica.

Ma sì, dai: che gli anni di opposizione di Silvio, dalla discesa in campo del '94 al 2011, non arrivino neppure a otto, in fondo, è solo un dettaglio insignificante.

Piuttosto viene la curiosità di sapere quali sono i tre anni e passa che Ferrara, come dire, ha rimosso.

Che sia il mirabile triennio 2008-2011, su cui il governo e il PdL, la scorsa estate, avevano addirittura investito dando alle stampe un luminosissimo panegirico?



Chissà. Magari è proprio questo il triennio rimosso da Giulianone.

Del resto, considerato che il file pdf del panegirico risulta stranamente rimosso - oltre che dalla memoria dell'elefantino - anche dal sito del Pdl e da Google Doc dove era stato piazzato (qui i link non funzionanti dal vecchio sito del governo) l’ipotesi non appare poi così peregrina.

Che sia il primo caso di damnatio memoriae attuata dai fedelissimi, anziché dai detrattori?!


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La clessidra nel tempo della vita.


Il Sassolungo della Val Gardena.

[Dall'amico gardenese  Marco Forni, lessicografo e traduttore, riceviamo e volentieri pubblichiamo]

Caro Prof. Woland,
ci vuole uno spiccato “senso” della vita per cimentarsi con questa eterna partita a scacchi. Mi permetto d’intervenire anch’io con alcune idee in divenire infilate tra le pieghe delle parole.

Sono d’accordo con te quando scrivi: “La morte è un fenomeno come tutti gli altri”.
La nascita di un gatto è un semplice fenomeno.
La morte del mio gatto, però, al quale ero molto affezionato, può affliggermi (o anche tradursi in un lutto).

Può darsi che un giorno potrà essere compreso e sconfitto.

Nell’Antico Testamento leggiamo: Noi dobbiamo morire e siamo come acqua versata in terra, che non si può più raccogliere, e Dio non ridà la vita” (Samuele, 12, 14, 14). 
Anche se poi nel Nuovo pare emendarsi: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (Dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi 15, 26).

Intanto noi dobbiamo fare i conti, nel corso della nostra vita, con la morte degli altri. Quando toccherà a noi potremo soltanto: morirla (nella speranza di non dover subire l’anticamera del dolore caricato dall’onere della sofferenza).

Questo (pre-)giudizio, insomma, cambia fisionomia quando ci riguarda da vicino. Se viene a mancare una persona cara, fatichiamo di più a confrontarci con postulati asettici. Veniamo coinvolti (aggrediti) emotivamente da questa assenza, avvertita come una privazione. Poi ci corre in soccorso la memoria per consentirci di rendere digeribile questo venire meno. La morte di un congiunto lascia dentro un vuoto che va colmato (forse anche giustificato in qualche modo). Frammenti di memoria iniziano a restituirsi a noi, quasi fungendo da sostituto del nitore reale venuto a mancare.

Da tempo immemore l’uomo sente il bisogno di colmare silenzi, paure e ha attinto a idee disparate per contornare la propria realtà. Idee non di rado propinate e gestite oculatamente da autorità superiori concrete e astratte.

Tutte le mattine prima di uscire di casa mi diletto a dare visibilità al principio che il tempo ignora il sistema di riferimento. Sul mio scrittoio ho una clessidra. Misura, davanti ai miei occhi, la scansione del tempo che scorre inarrestabile. Granelli di sabbia si staccano dalla massa unitaria in alto e confluiscono sul fondo per costituire un’altra massa compatta. Lì dentro il tempo pare non disperdersi, ma ricomporsi sempre.

L’affermazione: “Tutto nasce e tutto muore”, mi pare un’affermazione ingabbiata dentro di sé. Tutto muta nel volgere del tempo e non resta mai uguale a sé.

Mi capita d’incontrare (ex) compagni di scuola con i quali ho condiviso tanti momenti di divertimento spensierato. Abbiamo giocato a nascondino nell’erba alta nei prati. Nei boschi abbiamo costruito insieme capanne sugli alberi.
– Ti ricordi quante ne abbiamo passate insieme. Rammenti quella volta che...
– Ah sì, vagamente. Ora, però, devo andare. Mi ha fatto piacere vederti. Forse un altro giorno possiamo riprendere per i capelli i bei tempi andati?
 – Non so! Non oggi però, scusami, si è fatto tardi. È ora di andare.

Loro, io, non siamo più quelli di allora. Siamo cambiati: dentro e fuori. Siamo diventati estranei.

Mi piace pensare che quando non ci sarò più, una parte di me continuerà a raccontarsi nell’animo dei miei figli (magari a loro insaputa). Come chi mi ha preceduto continua a riproporsi dentro di me. Dà un senso di ebbrezza, lambìta d’eternità.

Il nostro essere identitario è animato da quattro impulsi: corporale con le sue necessità, libidinale con i suoi desideri, emozionale con i suoi sentimenti e intellettuale con le sue idee. Trovare la giusta misura, e riuscire a calmierare queste energie, ci mette in gioco una vita intera. E non di rado uno di questi elementi tende a prendere il sopravvento, con tutto quello che ne consegue.

L’aforisma di Foucault Noi non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire ” mi pare una sorta di sillogismo che giostra su sé stesso. Uno che è sano come un pesce, improvvisamente muore d’infarto e non fa in tempo ad ammalarsi: cosa ha combinato? È un irresponsabile perché non si è attenuto al precetto? No, semplicemente è morto perché è venuto al mondo.

È proprio vero come ebbe dire Einstein: “Es scheint hart, dem Herrgott in die Karten zu gucken”, ma continuare a rimescolare le nostre e rimetterci in discussione, come scrivi tu, ci rende umanamente perfettibili.
Tutto ciò mi porta ad accogliere anche, senza se e senza ma, il senso della vita di mia nonna. Lei mai si sarebbe sognata di chiedersi se è stato Dio a inventare l’uomo o, viceversa, l’uomo a inventarsi Dio per dare un “senso” alla propria vita.

Quell’adorabile vecchietta semplicemente lo sentiva dentro (parte) di sé e della sua vita familiare e sociale. Così riusciva a sopportare, a farsi una ragione dei lutti che aveva dovuto patire. La sua preghiera quotidiana era di comprensione e d’auspicio nell’aldilà.

Per ora è assodato che alla fine dei nostri giorni tutti siamo destinati a morire.

L’indifferenza della natura.
Lei non si accorge della nostra fugace e chiassosa parentesi terrena. Sottoscrivo le tue parole: 
Non piove perché la pioggia serve per fare crescer l’erba.

La natura è indifferente?

Che sia solo matrigna o anche madre benigna, dipende anche da noi nell’avvertire lo scorrere dei granelli di sabbia tra le mani, per il tempo che ci è consentito e poi riuscire, serenamente, a passare la mano.

Saluti dal Sassolungo testimone immoto dello scorrere imperturbabile del tempo.






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sabato 28 gennaio 2012

Un Parlamento... mondiale!



Come ho già scrittoGiuseppe Cantoni, finito casualmente nella retata di politici operata dalla Iena Sabrina Nobile a caccia di ignoranti sulla Tobin Tax, non è un deputato del Parlamento italiano, ancorché si fregi dell’appellativo di onorevole.

È piuttosto un membro dell’ineffabile Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace (qui il sito internet).

Il suddetto parlamento è una fantomatica organizzazione intergovernativa - anche detta Nuova Società delle Nazioni - è nata nel 1975, ha sede a Palermo e si dichiara “parallela all’Onu”.
Il suo ufficio di Presidenza è composto da diversi Capi di Stato di nazioni come Nigeria, Venezuela, Guinea equatoriale, Gambia, Cambogia, Maldive.

L’organizzazione risulta altresì collegata in vario modo con altre fantomatiche organizzazioni-associazioni-entità politiche nazionali e internazionali.
Una breve carrellata esemplificativa (se avete tempo, visitate per un momento i vari siti: io sono rimasto basito):
Se poi si guarda alle personalità che popolano questo fantasmagorico microcosmo, si resta ancor più stupefatti.

A partire dal cosiddetto Presidente Internazionale, Lord Viktor Busà, personaggio dal curriculum quasi leggendario: Commendatore di Gran Croce dell'Ordine di indipendenza della Guinea equatoriale, Patriarca della Chiesa ortodossa brasiliano (rito bielorusso), autore di pubblicazioni scientifiche a prima vista inimitabili quali “La Tanatomia nella Psichiatrica contemporanea”; “Epicedio della civiltà umana alla luce dello scibilismo”; “Il fattore psicopatologico litazomania” ecc, ecc.

Per non parlare di un altro membro del Parlamento mondiale, che si definisce governatore dell’AMOMU sopra citato, l’On. Rev.mo Dr. Cesidio Tallini, padre tra l’altro del diritto cesidiano, della salubriologia cesidiana, fondatore della Chiesa Cesidiana, sviluppatore dell’astrologia bucrafaniana nonché autore del Trattato della Grande Chiazza di Immondizia del Pacifico, del Trattato della Grande Chiazza di Immondizia Multioceanica e del Trattato del Detrito Spaziale.

Questo è dunque il contesto attorno cui ruota attorno al Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace di cui il nostro Giuseppe Cantoni è membro permanente.

Ed è un vero peccato che la pagina relativa agli Atti parlamentari risulti (chissà da quanto) in allestimento:



Non so, ma a naso mi pare si pongano una serie di interessanti quesiti.

Di chi e di che cosa, esattamente, è espressione questo benedetto Parlamento Mondiale?

Cosa ci faceva davanti a Montecitorio l’Onorevole Cantoni?

Come mai nessuno degli intervistati, o comunque dei nostri parlamentari, ha avuto da ridire sull’improprio accostamento operato dalle Iene tra onorevoli della Camera dei deputati e onorevoli del Parlamento Mondiale?

Poi ci sarebbe la questione che in rete si trova poco o nulla di questo Parlamento e dei suoi esponenti, se non singolari rimandi incrociati e qualche notizia che appare dal sen fuggita.

Il che, mi sembra di poter dire, rende vagamente inquietante le richieste di ‘incorporazione’ di alcuni dei nostri comuni...

Oltre a far venir voglia di conoscere dettagli e motivazioni specifiche riguardo a questi fatti, questi silenzi e questi personaggi.


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La Tobin Tax e la “cantonata” delle Iene.


Giuseppe Cantoni intervistato da Sabrina Nobile delle Iene

In un godibilissimo servizio delle Iene mandato in onda giovedì sera, Sabrina Nobile ha chiesto ad alcuni onorevoli cosa fosse la Tobin tax.

A parte qualche rara risposta corretta, al solito hanno finito col prevalere sguardi persi nel vuoto e non-risposte più o meno garbate.

Fino ad arrivare, dopo una sfilza di deputati intervistati (Narducci, Merlo, Cera, Lorenzini, Germanà, Brugger), al clou del servizio, e cioè la supercàzzola di tognazziana memoria di un tale On. Giuseppe Catoni (così ci è stato presentato) che ha inanellato una serie impressionante di non-sense su cosa sia la tassa in questione:
È una cosa... una bella parola che poi espressa in un atteggiamento politico alla fine poi sostanzialmente non ne vediamo una... insomma in poche parole... si sente molto parlare però in effetti tutti ne parlano ma nessuno ha capito bene di che razza... da dove arriva... è una citazione anche imbarazzante doverlo dire ma purtroppo non è una soluzione, dal mio punto di vista... è un atteggiamento per voler schivare certe linee politiche, secondo il mio punto di vista... è un atteggiamento che ha preso una posizione politica, però non ha senso nel senso ben specifico della parola, è semplicemente un modo politico per far reclamare che sia... sembra che andiamo a verificare le tasse, insomma in poche parole è una spesa, è una spesa che comunque... diciamo l'italiano poi se ne renderà conto dopo, è una spesa che non propriamente definita perché se fosse definita le direi guardi è una tassa che viene... è una tassa, esatto è una tassa, una cosa non identificata per il  momento, non ancora identificata... ne parliamo perché giustamente bisogna parlarne... è una cosa che poi il cittadino capirà che è solo politica... si chiama Tobin... è una parola tecnica... vuol dire, comunque... è una presa di posizione strategica... io personalmente sono diffidente di questo atteggiamento, che quando lo capiranno gli italiani di che cosa si tratta mi darà retta... non si capisce, arrivederci.
Diciamo subito che il cognome dell’intervistato non è Catoni, bensì Cantoni.

Quel che più conta, però, è che Giuseppe Cantoni non è un membro del Parlamento Italiano come gli altri intervistati e dunque non può essere incluso nel novero dei deputati nostrani, quelli cioè che dovrebbero occuparsi delle questioni economiche del nostro paese, tra cui la famigerata tobin tax.

Il buon Giuseppe Cantoni intervistato dalla Nobile si fregia sì dell'appellativo di ‘onorevole’, ma lo fa in quanto membro di un ineffabile Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace (questo le Iene lo riportano correttamente), che altro non è che una fantomatica ‘organizzazione intergovernativa’ con sede a Palermo, dai contorni piuttosto enigmatici.

E qui vengo al punto.

Dopo la carrellata di onorevoli deputati del Parlamento italiano, che le Iene abbiano voluto chiudere con il contributo di Cantoni è qualcosa che ha reso il servizio decisamente fuorviante.

Al di là della corretta attribuzione della didascalia, dubito che molti abbiano realizzato che l’intervistato non fosse un deputato - come tutti ci aspettavamo - bensì un membro di un’organizzazione qualsiasi che ha deciso di chiamare i suoi esponenti ‘onorevoli’.

Per carità, non che questo tolga alcunché all’ignoranza palesata dai deputati intervistati prima di Cantoni.

Però, insomma, care Iene: forse conviene verificare che chi si aggira nei pressi di Montecitorio sia effettivamente un parlamentare.

Mica per altro: giusto per non prendere... Cantonate!

... A maggior ragione, diciamocelo, se riguardano organizzazioni come il Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace...

Ma questo, in effetti, è un altro post.


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venerdì 27 gennaio 2012

Auschwitz.


Per non dimenticare:
Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
 
Tu non vuoi elegie, idilli: solo
ragioni della nostra sorte, qui,
tu, tenera ai contrasti della mente,
incerta a una presenza
chiara della vita. E la vita è qui,
in ogni no che pare una certezza:
qui udremo piangere l’angelo il mostro
le nostre ore future
battere l’al di là, che è qui, in eterno
e in movimento, non in un’immagine
di sogni, di possibile pietà.
E qui le metamorfosi, qui i miti.
Senza nome di simboli o d’un dio,
sono cronaca, luoghi della terra,
sono Auschwitz, amore. Come subito
si mutò in fumo d’ombra
il caro corpo d’Alfeo e d’Aretusa!
Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: “Il lavoro vi renderà liberi”
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
 
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte. (Salvatore Quasimodo)


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giovedì 26 gennaio 2012

Lettera a Galimberti.

La partita a scacchi tra Antonius e La Morte.
  Det sjunde inseglet (Ingmar Bergman)


[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Caro Professor Galimberti, 

sono un fisico matematico e forse per deformazione professionale ho un concetto della morte molto diverso da quello corrente. Proverò a spiegarlo.

Ecco, io sostengo che la morte è un fenomeno come tutti gli altri: considerarlo un unicum è un bias, comprensibilissimo, ma pur sempre un bias.

Gli uomini nel corso dei millenni sviluppano, in corrispondenza alle loro esperienze empiriche, delle idee che ritengono descrivere oggettivamente la realtà. Ora, prescindendo dal fatto che la realtà è già essa stessa una di quelle idee, è facile rendersi conto che questa inevitabile costruzione della mente umana è solo un modo soggettivo e convenzionale di descrivere la natura.

Prima di Einstein, per fare un esempio, nessun fisico aveva neppure postulato che il tempo fosse indipendente dal sistema di riferimento. Voglio dire che tale indipendenza era talmente radicata nel profondo della mente dell’osservatore che nessuno pensò mai neppure di postularla. 

Eppure ecco irrompere nella scienza una rivoluzione straordinaria: il tempo dipende dal sistema di riferimento! Certo tale dipendenza può essere osservata solo in casi lontani dall’esperienza dell’uomo, ma a noi importa il concetto. 

Questo esempio, uno dei mille, ci dice che le convinzioni che si radicano nella mente umana sono apparenze
Tutto nasce e tutto muore.
Ancora una  irrinunciabile convinzione. In realtà è solo una nostra idea basata sull’esperienza comune, cioè basata sul nulla.

La morte - che a noi sembra essere un fenomeno unico - è semplicemente un fenomeno: come il fulmine, la pioggia, la nascita di un gatto. 

Noi vi abbiamo - per ovvi motivi - ricamato sopra nel corso dei millenni ma io sono persuaso che essendo un fenomeno come tutti gli altri potrà un giorno essere compreso, governato e per così dire "sconfitto". 

Non condivido pertanto la sua concezione della morte riassunta dall’aforisma di Michel Foucault:
 Noi non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire ”.
In questo pensiero c’è il fossile* di un ragionamento deterministico che combattiamo aspramente in altri campi, per esempio nella religione.

È lo stesso bias che ci ha indotto a pensare ad una causa causarum, ad un motore immobile

Non piove perché la pioggia serve per far crescere l’erba. Come ben spiega Taleb nel suo Giocati dal caso** l’uomo tende inevitabilmente a porre rapporti di causa ed effetto anche laddove non ce ne sono, laddove il caso regna sovrano. Ed anche questo bias è così radicato nell’uomo che un genio come Einstein ebbe a dire “Dio non gioca a dadi” quando la meccanica quantistica annunciò la fine del determinismo nella fisica.
Infine caro Prof. Galimberti lei ha ripetuto spesso - lo fa anche nell'articolo in cui cita Foucault - che l’uomo ha inventato Dio per dare un senso alla sua esistenza e in generale a quella dell’Universo intero. 
Ma invece non c’è nessun senso.

Ed io sono d’accordo con lei.

Ma allora non è contraddittorio reintrodurre dalla finestra questo senso scacciato dalla porta? 

Volere attribuire un senso alla morte e quindi una oggettiva volontà deterministica della natura è un’operazione assolutamente omologa alla creazione di un dio. 

Quindi per coerenza se si rifiuta il senso lo si deve fare fino in fondo. 
Naturalmente sono pronto a rimettere in discussione l'argomento poiché sono conscio del fatto che - per citare ancora una volta il grande Albert - “È difficile dare un'occhiata alle carte di Dio

Nel ringraziarla per la sua attenzione la saluto affettuosamente e con grande stima. 

Prof. Woland
______________________________________________
*Mi rendo conto che così dicendo metto in discussione il secondo principio della termodinamica - e vi assicuro che la circostanza mi turba - ma non rinuncio alla mia intuizione e credo in un'altra rivoluzione copernicana.
**Giocati dal caso. Il ruolo nascosto  della fortuna nella finanza e nella vita  (Il Saggiatore,2003).
Nassim N. Taleb  insegna Scienze dell'incertezza alla University of  Massachusetts. 
Giocati da caso, che  lo ha reso noto in tutto il mondo, è stato definito da Fortune  "uno dei libri più intelligenti di tutti i tempi".
Di Taleb Il Saggiatore ha pubblicato nel 2008    Il cigno nero.
http://www.wikio.it


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mercoledì 25 gennaio 2012

Le rendite di posizione e il bene comune.

Ronald Reagan
[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Il Governo Monti, in questi giorni di gravissima crisi, sta tentando di aggredire qualcuna delle tante rendite di posizione che ingessano il nostro paese. 
Naturalmente cresce la tensione sociale e molte categorie sono in agitazione.
Assolutamente legittime le proteste, purché rimangano nell'alveo della legalità.

Desidero però fare due osservazioni che mi sembrano importanti.

1. Perché i dipendenti pubblici e privati dovrebbero accettare una riforma delle pensioni terribilmente punitiva- per taluni lavoratori il rinvio del pensionamento è stato di 5-6 anni - mentre farmacisti, notai, avvocati, benzinai, autotrasportatori etc si tirano fuori e non intendono fare nessuna rinuncia? 
La sola protesta che si può accettare in una situazione che vede il Paese a rischio default  è: "Noi siamo pronti al sacrificio, purché non ci siano categorie che vengono risparmiate". 

2. Molte tra le  categorie più arrabbiate sono vicine a partiti di destra.
Credo sia il caso dei tassisti che hanno dichiarato :"Monti ci ascolti o faremo l'inferno" o degli autotrasportatori che stanno bloccando l'Italia.


Ed allora ricordiamo, con un esempio, cosa potrebbe essere la destra. Il Presidente Ronald Reagan il 5 agosto del 1981* - poco dopo essere stato eletto - licenziò, dopo solo due giorni di sciopero, 11345 controllori di volo, dichiarando nel contempo illegale il loro sindacato (Patco).
E, si badi, Patco era stato uno dei sindacati che aveva appoggiato la candidatura di Reagan alle presidenziali.

Cerchiamo dunque di essere coerenti con le nostre scelte politiche.

Infine ricordiamoci che quando è in gioco il bene comune tutti siamo chiamati a fare un piccolo passo indietro nella speranza che i nostri sacrifici preparino un futuro migliore per i nostri figli.
___________________________________
* Secondo Micheal Moore in questo giorno è morta, negli USA, la middle class.


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martedì 24 gennaio 2012

La morte e il morire.

Il Sassolungo della Val Gardena.

[Dall'amico gardenese  Marco Forni, lessicografo e traduttore, riceviamo e volentieri pubblichiamo


La morte e il morire: due parole mute che continuano a fare un silenzio assordante dentro di noi.
Meglio non pensarci, parliamo d’altro: finalmente è arrivata la neve e inizia la stagione.
In vita taluni tentano di buttare la chiave del loro stare al mondo nelle urne di chi non c’è più. Requiescantinpaceamen e andiamo avanti, non c’è tempo da perdere.
Altri, pervasi da velleità d’eternità, traducono maldestramente la locuzione dei frati trappisti memento mori con: ricordati di morire, come a dire che gli smemorati corrono il rischio di vivere in eterno.
Una delle poche certezze della vita è che prima o poi toccherà anche a noi.

Fino a un attimo prima però noi ci ritroviamo, volenti o nolenti, a dover fare i conti non solo con le agenzie di rating sparse per mari e Monti, ma soprattutto con la morte degli altri.
La morte di persone a noi lontane possono intirizzire i nostri sensi il tempo di una notizia. La perdita di una persona cara, invece, ci sconvolge, ci lascia senza parole. Veniamo colti dalla paura. Il credo nell’esistenza di un aldilà si fortifica o s’indebolisce a seconda dei canoni che ci sono stati inculcati dalla morale comune.
Perché ci lasciamo sopraffare da un senso d’impotenza, di perdita irreversibile?
Forse perché continuiamo ad aggrapparci disperatamente alla fisiognomica, alla corporeità, dei sentimenti, degli affetti. Dobbiamo poter toccare, vedere, per riuscire a „credere“. Quando il corpo si svuota dall’identità definita che gli è stata appiccicata addosso da un ufficio d’anagrafe, sembra esaurirsi tutta la sua ragion d’essere.
Per chi resta a guardare e senteziare parole prese a prestito, permane la sensazione di una paura fottuta di quella che chiamiamo morte (o forse è il „morire“ con dolore che ci terrorizza di più). La nostra morte è un accadimento al quale non possiamo più renderci partecipi. Sono altri che pasticciano la sceneggiatura e assumono il ruolo di protagonisti, interpreti della nostra morte, per riaffermare il senso acquisito della propria vita.
È consolatorio barricarsi dietro il diritto alla vita; un alibi per sentirsi dalla parte del giusto e non andare a intralciare pensieri pronti all’uso. L’accanimento terapeutico è rispetto della vita o è un modo per tentare di accomodare la propria coscienza?
Affidare una persona cara alla morte, lasciarla andare, può tradursi in un estremo atto d’amore. Continuerà a raccontarsi, a riproporsi sotto un altro sembiante dentro di noi.

Il sorriso carezzato di serenità di Leah Beth non è acconciato. È stato plasmato dal dolore e dalla sofferenza; esprime un senso di pulizia e mi porta a dire: „Lasciatemi andare, devo sbrigare una faccenda, poi torno“. Ed è già tornata, continua a raccontarsi a noi e a scalfire le certezze, usa e getta, che ci lasciamo cucire addosso per colmare le nostre inquietudini.
Leah Beth voleva colori sgargianti e sorrisi al suo funerale. Lei ha avuto il tempo di andare incontro al buio; il buio che contiene tutti i colori, se ti accorgi di poter accendere la luce e di regalarla agli altri prima che si spenga. Le nostre certezze possono essere invalidanti. Sono riempitivi per convincerci (illuderci) di stare sempre dalla parte della ragione. Sono gli altri dalla parte del torto.
È il dubbio che ci rende più umani, più perfettibili.
Lo stare al mondo può risolversi nel quanto, l’esserci nel come.
E se questo fosse l’ultimo giorno della mia vita come vorrei viverlo?
Quali conti mi andrebbe di far quadrare?
Forse semplicemente riconciliarmi con gli altri e con me stesso.
Il pensiero della morte può essere ingannevole se ci fa dimenticare di vivere e di coltivare gli affetti, i sentimenti, i dubbi che costellano la nostra esistenza.

Socrate vuota impassibile la coppa del veleno e va incontro serenamente al proprio destino di morte decretato dai benpensanti. Platone gli mette in bocca parole intagliate nella roccia: „Ma ecco che è l’ora di andare: io a morire, voi a vivere. Chi di noi due vada verso il meglio è oscuro a tutti (ometto volutamente le ultime parole che ognuno ha il diritto di aggiungere o togliere: fuori che a Dio).“

Leah Beth ci affida un lascito prezioso, quello di continuare a coltivare l’umanità della persona e il senso della misura. La morte è una parola muta, che non si affronta con il silenzio assordante di certezze precostituite.
È salutare pensare che il mondo, da che mondo è mondo, va avanti  imperterrito con o senza di noi. E che la morte (degli altri) ci accompagni lungo il cammino entusiasmante che ci siamo abituati a chiamare vita.

Un saluto da Selva e dal Sassolungo silente ammantato di neve.
Marco Forni


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sabato 21 gennaio 2012

Quando si dice il caso.


Deve trattarsi di un beffardo scherzo del destino.

Il fatto, dico, che sia stata rivisto il recentissimo Regolamento sulle incompatibilità del Popolo della Libertà, emanato dal Segretario Angelino Alfano da poco più di un mese, il 6 dicembre scorso.

E che ad essere ritoccato sia stato nello specifico l’articolo 2, riguardante l’incompatibilità tra cariche partitiche e cariche istituzionali.

E che dopo le dimissioni di Nicola Cosentino da Coordinatore campano del Pdl, il partito - notizia di oggi - stia pensando di sostituirlo col Presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, che dopo la modifica dell'art. 2 ora può candidarsi regolarmente alla carica che fu di Cosentino:

Il regolamento emanato il 6 dicembre 2011
Uno stralcio della lettera di Alfano inviata un paio di giorni fa
ai dirigenti regionali e provinciali del Pdl [fonte: Dagospia]
No, dico, non può che essere un tiro mancino del caso.

Perché sicuramente mai e poi mai il figlioccio di Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, avrebbe cambiato una norma appena emanata per aprire le porte della regione a Luigi Cesaro.

Mica per altro: dopo aver fatto dimettere Cosentino - accusato di essere soltanto il referente nazionale dei Casalesi - stravolgere regolamenti e mettere al rischio la nuova immagine del PdL per favorire chi è indagato nella stessa indagine di Cosentino sarebbe un gesto talmente plateale e sconsiderato da apparire quasi un suicidio politico.



Ne converrete dunque: soltanto il caso cinico e baro, senza ombra di dubbio.

Come potrebbe essere altrimenti?

Vedrete come correranno ai ripari, appena se ne accorgeranno.

Del resto i vertici del partito non vorranno mica che si continui ad associare il nome del Pdl ai Casalesi, no?

Update ore 20:30


Dal suo sito personale, il segretario Alfano, giusto oggi, fa la voce grossa coi suoi:



Che tempra, che moralità...

[Per chi non conosce Luigi Cesaro, detto "purpetta": qui un'eloquente video-intervista del 2010]


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Il naufragio della concordia.

[Foto da Reuters.it]

Costa Concordia.

Una tragedia paradigmatica, sotto molti punti di vista.

Di come la nostra sicurezza sia appesa ad un filo sottile. Che non ci vuole poi così tanto a recidere.

Di come possa essere misera la maschera umana. Il Comandante Schettino, quali che siano gli esiti delle indagini, ha finito col rappresentare la summa delle debolezze umane: l’incoscienza, l’irresponsabilità, la viltà.

Di come sia sempre facile - e forse fin troppo scontato - ridirezionare la propria indignazione, categorizzare: da un lato il mostro - Schettino - dall'altro l'eroe - il Comandante De Falco.

Questa nostra propensione a tracciare nettamente il confine tra il Bene ed il Male è apparsa anche stavolta, come in altre occasioni, più di un ‘atteggiamento’: piuttosto un istinto atavico, quasi un bisogno profondo. In qualche modo, forse, una pratica rassicurante, utile ad esorcizzare. E magari anche ad espiare.

Fatto sta che troppe cose non quadrano in questa vicenda.

Schettino non era solo, moldave a parte, quella sera. 
Un intero equipaggio lo supportava.

Questo rende la vicenda più drammatica, certo, ma a pensarci bene al tempo stesso più inquietante.

E rende necessario porsi delle domande.

La società Costa Crociere sapeva del passaggio (troppo) vicino all'isola previsto per quella sera, dal momento che era stato effettuato - e pubblicizzato - altre volte?

E sempre la Costa Crociere - a quanto pare prontamente avvisata da Schettino - quanto e come ha influito nei ritardi relativi alle procedure di evacuazione, magari per evitare l'esborso assicurativo di 10 mila euro a passeggero, ergo 40 milioni di euro?

Costa si è costituita parte lesa. Staremo a vedere.

Certo la superficiale placidità con cui a quanto sembra i gradi apicali a bordo della Concordia hanno affrontato il dramma è talmente eccezionale da apparire quantomeno sospetta.

Anche in barba a tutti i sacrosanti discorsi sulla disorganizzazione e la pusillanimità italiche.

Tutti impreparati? Tutti vili? Tutti incoscienti? Chissà.

Io ho la sensazione che questa vicenda abbia ancora troppi lati oscuri da chiarire per risolversi in una scontata e frettolosa caccia all'uomo (nero).

Che, sia ben chiaro, trovo sbagliata di per sé.

Perché nessun essere umano, a prescindere dalle sue azioni, merita il linciaggio.

La giustizia faccia il suo corso e accerti le responsabilità.

Di tutti.

Quanto a noi, “spettatori” del dramma, in un paese in cui l’etica della responsabilità è fin troppo spesso  assente, credo faremmo bene ad assumerci per prima cosa l'onere di non soffiare sul fuoco della tragedia.

E a tenere a bada l’emotività.

Perché il delicato momento storico lo richiede: questo è tempo di costruire, non di distruggere.

Almeno se vogliamo impedire che la concordia sociale rovini sugli scogli di una cieca indignazione.


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venerdì 20 gennaio 2012

What you can do for your country.

John Fitzgerald Kennedy

[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Il direttore del Centro trapianti di fegato dell'Ospedale Molinette di Torino, Mauro Salizzoni, ha avuto una brillante idea che è stata accolta con favore dal Presidente della Regione Piemonte Roberto Cota
L'idea consiste nel far pervenire al paziente dimesso dall'ospedale una lettera in cui gli si comunicano tutti i costi della degenza.
È importante che i pazienti siano consapevoli dell'importanza della sanità pubblica. Questo è un mio pallino da anni e credo sia anche un modo per far capire agli evasori quanto è importante che tutti paghino le tasse per contribuire al servizio pubblico, 
spiega il Professor Salizzoni.
Vorrei suggerire alle amministrazioni pubbliche di adottare questo metodo - se possibile - in altre circostanze.

Per esempio la famiglia che ha un bimbo nella scuola dell'infanzia e uno nella scuola primaria a fine anno scolastico si vedrebbe recapitare una letterina che recita: 
Gentili Signori Rossi vostro figlio Marco è costato allo Stato 5828 euro, Luca 6525 euro, per un totale di 12353 euro. Vi ringraziamo per aver scelto la scuola statale
Gli esempi si potrebbero moltiplicare: polizia municipale, vigili del fuoco, autoambulanze...

E forse allora sarebbe più facile comprendere l'invito che il Presidente John Fitzgerald Kennedy rivolse ai suoi concittadini nel suo discorso d'insediamento (Inaugural Address):
And so, my fellow Americans: ask not what your country can do for you, ask what you can do for your country.
Sono questi giorni difficili per l'Italia, quindi almeno qualche volta chiediamoci anche noi cosa possiamo fare per il nostro paese e non cosa il nostro paese può fare per noi.


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mercoledì 18 gennaio 2012

Pensieri al contrario.

Il Sassolungo della Val Gardena.
[Dall'amico gardenese  Marco Forni, lessicografo e traduttore, riceviamo e volentieri pubblichiamo

Pensieri al contrario 

È impensabile che:

I sindacati difendano l’impresa a scapito dei lavoratori.

È impensabile che:

Gli industriali scendano in piazza per difendere i diritti dei lavoratori.

È impensabile che i tassisti scorazzino gratis, per le vie della città, i farmacisti.

È impensabile che gli evasori facciano il tifo per i pensionati costretti ad aprire un conto in banca (a ben pensarci, questo potrebbe anche essere pensabile, così si continua a spostare l’attenzione altrove...)

I pensionati dal canto loro protestano: Non è giusto che chi più ha più dà, è più equo che dia chi non ha. L’effetto San Matteo da quelle pagine intonse parla chiaro.

È impensabile che le ragioni stanno (o stiano: sa più d’auspicio) dalla nostra parte e i torti sempre e comunque dall’altra.

È pensabile che la smettiamo di lasciarci abbacinare da un’epoca in cui le cose inutili sembrano essere diventate le nostre uniche necessità?

Chissà...

E tra le pieghe di questi scenari funesti (fustigati sempre da bagliori di luce) resta il dono impagabile e misterioso della lingua e delle parole veicolo d’incontro con gli altri e con noi stessi.

E tra mari e Monti riusciremo a trovare insieme il sentiero per risalire la china, siamo chiamati tutti a crederci e a fare la nostra parte.

Mi piace ricordare le parole di Fabrizio, morto l’11 gennaio 1999, ma che non è mai venuto a mancare (sembra quasi farsi beffe della Signora in nero) dentro di noi: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” e (aggiungo io) non deve mai sopirsi la voglia di poter cambiare veramente le cose; la voglia di stare insieme agli altri per svelare e spandere spicchi di noi stessi. 

Il mio augurio è che tra le pieghe della vita di tutti i giorni ciascuno di noi riesca a trovare i colori e i sapori per continuare a tinteggiare di pensieri i giorni di là da venire.

Saluti dal Sassolungo.


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martedì 17 gennaio 2012

Segnali di fumo: quando il Parlamento fa l'indiano.

[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


La settimana scorsa, come è noto, la Camera d'appartenenza ha respinto l'autorizzazione all'arresto avanzata dal magistrato nei confronti dell'On. Nicola Cosentino.

Dalle pagine di questo blog si è già parlato delle principali contraddizioni di quel voto e dell'equivoco di fondo su cui si è giocato.

A me preme giusto fare un paio di riflessioni aggiuntive.

La Camera ha agito in base all'articolo 68 della Costituzione che così recita:
...Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.
L'articolo 68  è in vigore dal 14 novembre 1993, essendo stato modificato con legge costituzionale. 
Nella sua formulazione originaria esso prevedeva l'autorizzazione per sottoporre a procedimento penale un parlamentare.
Sappiamo che l'articolo fu modificato in seguito all'indignazione popolare che accompagnò i noti fatti che furono battezzati tangentopoli.

Perché i padri costituenti avevano sentito la necessità di una tutela così forte per i parlamentari?
La risposta è semplice.
La Repubblica Italiana nasceva dalle ceneri di una dittatura.
Forte dunque era ancora il timore che si potesse attentare alla libertà di un deputato, eliminandolo dalla scena politica, mediante una persecuzione giudiziaria.
Ecco dunque la necessità di attribuire alla Camera d'appartenenza del parlamentare il diritto - dovere  di verificare che il magistrato non fosse in malafede.
Verificare cioè l'assenza del cosiddetto fumus persecutionis (che mai, si badi, viene nominato esplicitamente nelle norme).

Come detto, l'articolo fu modificato in senso restrittivo a furor di popolo.
Ora l'autorizzazione riguarda non già l'avvio del procedimento penale, ma la tutela di certe restrizioni della libertà, in primis l'arresto e la conseguente detenzione.

L'articolo 68, nell'introdurre tali tutele, sancisce di fatto una violazione dell'articolo 3 della Costituzione che afferma:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Sia ben chiaro: non parlo da costituzionalista, ma da matematico.
Se la Costituzione fosse una teoria formale matematica, si potrebbe tranquillamente affermare che tale teoria non è consistente.

Ora, benché sia del tutto ovvio che la vita quotidiana non coincide con una teoria matematica, devo dire che tale contraddizione resta indigesta e che il nuovo articolo appare, a mio parere, più indigesto di quello originario.
Infatti, se accettiamo che sia avviato il procedimento penale e che siano compiute le relative indagini, per quale ragione il parlamentare dovrebbe avere il privilegio di non essere arrestato qualora se ne ravvedano i presupposti di legge?
Perché un impiegato di concetto dovrebbe essere privato della libertà se si sospetta che sia un delinquente, mentre si dovrebbero lasciare mani libere ad un potente che per di più ha funzioni legislative? 
Lascio aperti tali quesiti e vengo alla questione del fumus.

Se ci si dà la pena d'ascoltare le varie interviste e le dichiarazioni in aula si resta interdetti.
Di solito chi vota contro l'arresto sostiene candidamente che "nelle carte non c'è nulla".
Il nostro parlamentare dunque, "peritus peritorum", con il suo diploma alberghiero (On. Meloni), con la sua laurea in medicina (On. Domenico Scilipoti), con la sua licenza di scuola media inferiore (On. Emanuela Munerato), con il suo diploma di perito tecnico industriale (On. Antonio Boccuzzi), studia i faldoni e pronuncia la sentenza.
Converrete che non può essere questo ciò che suggerisce la Costituzione.
Non spetta ai parlamentari fare il processo in aula.

Il solo procedimento possibile è il seguente: occorre dimostrare che notizie se non certe almeno molto plausibili mettano seriamente in forse l'imparzialità di un preciso magistrato.
Solo di questo si deve discutere, portando, se non prove, indizi di gran peso.

Il fatto, come è accaduto per l'On. Nicola Cosentino, che la richiesta d'arresto sia l'esito finale del giudizio di un folto stuolo di magistrati terzi (gip, gup, tribunale della libertà, tribunale del riesame) appare già di per sé una dimostrazione dell'assenza del fumus persecutionis. 

Comunque  poiché in casi come questo la posta in gioco è la salvaguardia di una nazione e di un popolo - seriamente a rischio se un deputato viene sospettato di essere il referente nazionale di un clan della Camorra - sarebbe forse auspicabile che il Parlamento stabilisse chiaramente quali siano i criteri per l'accertamento della supposta malafede giudiziaria.

Finché questo non accade ci si deve attenere ad un principio di presunzione: in mancanza di credibili, specifici indizi di parzialità deve prevalere la parola del giudice (non, attenzione, del pubblico ministero, cioè dell'accusa).

Il resto non è altro che manfrina politica.


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