Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

La Città Invisibile si è trasferita su l'Espresso. Clicca sull'immagine per raggiungere il blog.

La Città Invisibile si è trasferita su l'Espresso. Clicca sull'immagine per raggiungere il blog.
Link per iscriversi ai feed: http://feeds.feedburner.com/repubblica/KUea

giovedì 15 marzo 2012

La fine del compromesso tra capitalismo e democrazia.

John Maynard Keynes

[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Credo sia molto utile per capire le drammatiche vicende economiche che agitano negli ultimi decenni il nuovo e il vecchio continente parafrasare nel modo più semplice e schematico possibile l'articolo di Nadia Urbinati - docente di Teoria politica alla Columbia University di New York - apparso su La Repubblica del 9 febbraio.


In seguito alla terribile crisi del '29 Keines dettò il più importante compromesso storico del secolo scorso: quello tra capitalismo e democrazia.
In cosa consisteva questo compromesso? È presto detto: il pubblico anziché assistere i poveri li impiegava oppure promuoveva politiche sociali che creavano impiego.
Ne conseguiva un incremento della domanda e una ripresa dell'occupazione, cioè una maggiore giustizia sociale con il seguente esito:

- I poveri diventano davvero i rappresentanti dell'interesse generale della società.
- Le forze politiche, cioè i partiti politici che rappresentano le forze sociali, possono gestire l'allocazione delle risorse economiche (beni sociali e primari, servizi).

È importante notare che alla base del compromesso c'era una delega ai partiti: le classi sociali rinunciavano a fare da sole.

Ora quel tempo è finito. Il compromesso annullato.

Le classi sociali riprendono nelle loro mani le decisioni e ciò vale soprattutto per la classe che detiene il potere economico. Di qui il declino dei partiti.

L'ideologia keynesiana ha funzionato fintanto che l'accumulazione del capitale si traduceva in investimenti e ampliamento del consumo il cui combinato disposto incrementava la giustizia sociale.

La rottura si ha negli anni '80: viene applicata una politica di diminuizione  delle tasse per consentire una nuova ridistribuzione ma stavolta a favore dei profitti. Agli elettori tale politica viene giustificata come stimolo agli investimenti ma invece le risorse liberate in questo modo non finiscono in investimenti produttivi (e quindi in lavoro) bensì in investimenti finanziari.

Da allora dunque l'accumulazione ha sciolto i lacci e lacciuoli imposti dalla democrazia: il lavoro deve tornare ad essere un bene solo economico, libero quindi dalle catene del diritto o della politica.

Questo e non altro è il significato della battaglia sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Un significato solo simbolico.

Il potere economico vuole affermare il principio: la regia della nuova democrazia non deve più essere la legge, il legislatore, lo Stato, ma il mercato.

L'articolo 18 è un fossile, ciò che resta del compromesso, dunque deve essere abolito. Ecco perché va eliminato ed ecco perché il sindacato - ben conscio della posta in gioco - lo difende strenuamente.

Ma che tipo di società sarà quella in cui il profitto e l'accumulazione la fanno da padroni senza vincoli alcuni?



Share/Bookmark

Se ti è piaciuto l'articolo, puoi iscriverti ai post per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...