Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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giovedì 29 marzo 2012

Per chi suona la campana.


Ci (ri)siamo.

Il virus ha colpito anche il Prof. dei Prof., il Presidente del Consiglio Mario Monti.

La consensite acuta sta rapidamente assumendo i contorni della malattia del secolo.

Il Presidente Monti, da Tokyo, ha dichiarato:
Nonostante alcuni giorni di declino a causa delle nostre misure sul lavoro, questo governo sta godendo un alto consenso nei sondaggi, i partiti no
Che se ci pensate bene è un'affermazione piuttosto allarmante, da diversi punti di vista.

1. La questione sul tavolo è proprio quella delle misure sul lavoro: rispondere alle domande in merito dicendo "a parte quello, stiamo andando alla grande, grazie" è quantomeno risibile. Quantomeno.

2. L'equazione per cui consenso=aver ragione o peggio ancora consenso=correttezza delle misure/equità dei provvedimenti ecc. ecc. non è solo drammaticamente sbagliata, ma anche pericolosamente demagogico-populistica. 
Tra l'altro, a ben vedere, era esattamente la filosofia del Caimano: ho la fiducia degli italiani=sto facendo la cosa giusta...
Mi limito a sottolineare in tal senso, da un punto di vista squisitamente logico (e sommessamente politico), che se questo assunto fosse vero NON avremmo certo bisogno di un intero Parlamento; e comunque certo NON di un'opposizione; figurarsi poi di parti sociali: MAI, soprattutto, dovremmo discutere di alcunché, visto e considerato che chi governa, per il solo fatto di aver avuto la fiducia da una maggioranza, agirebbe correttamente per definizione.

3. La contrapposizione governo-partiti stressata da Monti con una entrata decisamente a gamba tesa  assume i contorni di una precisa strategia comunicativa: giocando su una sorta di immedesimazione popolare il Premier tecnico pesca a man bassa nel diffusissimo sentimento anti-casta e marca una precisa divaricazione istituzionale tra governo e partiti, assai poco politically correct. Facendo arrivare ai partiti un chiaro messaggio: "noi siamo i buoni, voi i cattivi e ci hanno chiamato per salvare il mondo che voi stavate distruggendo: non lo dimenticate". 
Al tempo stesso insomma una minaccia, una scomunica, una dichiarazione di manifesta superiorità e una rivelazione esplicita del consenso come instrumentum regni. Scusate se è poco.

Se poi a tutto questo aggiungiamo che il governo in carica si regge al momento sui voti di quei partiti cui Monti rammenta di essere in crisi di consenso, il melodramma si fa quasi teatro dell'assurdo.

E pensare che, sull'onda dei dissensi, tutto era cominciato con la frase "se il paese non è pronto, il governo potrebbe anche non restare".

Resta un mistero glorioso come si sia passati, in sole 24 ore, dal dubbio che il paese non fosse pronto, alla dichiarazione di non aver bisogno di consensi (Sic! Ne parlava Gilioli recentemente in un bel post), alla certezza del "sono tutti con me".

Non so, ma mi viene da pensare che questi siano segnali forti che c'è qualcosa da rivedere nel modo di affrontare i problemi spinosi del nostro paese. 

Mediaticamente non c'è dubbio. Ma anche politicamente, sia ben chiaro.

Perché tecnici o non tecnici, i Professori ora stanno facendo politica. Politica vera.

E, nella politica vera, l'assioma accademico per cui "se lo studente non capisce, è solo colpa sua", funziona maluccio.

E allora cari Prof., se permettete un consiglio, provate a cambiare le parole; ditecelo in un altro modo.

Fateci comprendere perché in un paese in cui non si trova lavoro, una delle misure per lo sviluppo dovrebbe essere quella di rafforzare il diritto di togliere il lavoro a chi ce l'ha.

Spiegateci, fateci capire.

Forse, dico forse, ce lo dovete.


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