Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 5 marzo 2012

La morte può essere sconfitta?

In giallo, i telomeri
[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Nel post Lettera a Galimberti avevo scritto:
Io sostengo che la morte è un fenomeno come tutti gli altri: considerarlo un unicum è un bias, comprensibilissimo, ma pur sempre un bias.
Tutto nasce e tutto muore.
Un'irrinunciabile convinzione. In realtà è solo una nostra idea basata sull’esperienza comune, cioè basata sul nulla.
La morte - che a noi sembra essere un fenomeno unico - è semplicemente un fenomeno: come il fulmine, la pioggia, la nascita di un gatto.
Noi vi abbiamo - per ovvi motivi - ricamato sopra nel corso dei millenni ma io sono persuaso che essendo un fenomeno come tutti gli altri potrà un giorno essere compreso, governato e per così dire "sconfitto".
Ero arrivato a questa conclusione applicando semplicemente quello che io chiamo il "principio della rivoluzione copernicana". Principio che formulerei banalmente così:
La comprensione di ogni fenomeno è funzione del tempo.
Mi rendo perfettamente conto che le mie convinzioni possono apparire poco credibili se non addirittura bizzarre. Ma qualcosa comincia a muoversi - in tale direzione - anche nel campo scientifico.

Un recente articolo pubblicato (6 febbraio 2012) sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) ha il seguente significativo incipit:
Some animals may be potentially immortal
sufficiente credo a scardinare la nostra convinzione incrollabile sull'ineluttabilità della morte.

Provo a condensare in poche parole l'articolo.

Gli organismi invecchiano - e muoiono -  perché le estremità dei cromosomi (i cosiddetti telomeri*) dopo alcune decine di replicazioni della cellula si accorciano a tal punto che le cellule perdono la capacità di replica (the cells become senescent in adults as telomeres shorten to a critical length).

Schmidtea mediterranea
Ora gli scienziati hanno studiato un vermicello della famiglia delle planarie - il cui nome scientifico è Schmidtea mediterranea - che è rappresentato da due diverse classi: sessuali e asessuali.
Le planarie della prima classe si riproducono per via sessuale. Quelle della seconda classe si scindono invece in due dando vita a due nuovi individui.
Ebbene, lo studio ha portato alla seguente conclusione: i primi soggiacciono alla normale legge di natura e muoiono,  i secondi hanno la capacità - tramite la super attività di un enzima chiamato telomerasi - di mantenere immutata la lunghezza dei telomeri,  donde la loro immortalità potenziale.

È interessante notare le ragioni di economia della natura: nel primo caso l'immortalità, non dell'individuo ma della specie, si ottiene generando figli e quindi non vi è alcun bisogno dell'immortalità dell'individuo.

Peraltro la planaria in questione  è davvero singolare. Uno studio appena pubblicato su Science dimostra, per la prima volta, l’esistenza di cellule animali che non possiedono centrosomi. Prima d’ora, nessuno aveva mai nemmeno immaginato che potessero esistere cellule che ne fossero prive. Si pensava, infatti,  che i centrosomi avessero un ruolo insostituibile nella divisione delle cellule.
Gli scienziati sono basiti.

L'ennesima rivoluzione copernicana!

E chi è l'animale senza centrosomi? Il dispettosissimo e sconcertante vermetto: la Schmidtea mediterranea!

Ancora una volta un cigno nero** ha fatto la sua irruzione sulla scena a rammentarci che nulla di quel che pensiamo è definitivo e tutto ciò che ci sembra ovvio e naturale può non esserlo più.

Anche la morte.

Post Post
Un'interessante articolo pubblicato su Wired di marzo, riporta due ricerche importanti sul tema: la prima, pessimista, giunge alla conclusione che non è possibile riparare i telomeri. La seconda, avendo individuato una particolare proteina la TRF-2 che li protegge, riaccende invece le speranze. 
La storia continua...


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*Per la scoperta dei telomeri e dell'enzima telomerasi ha fruttato gli scienziati  Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak hanno ricevuto nel 2009  premio nobel per la medicina.
** Termine col quale si intende un evento  assolutamente inaspettato (come l'ascesa di Hitler, l'attentato delle torri gemelle, il principio di indeterminazione di Heisemberg o i teoremi di incompletezza di Gödel) che solo a posteriori può essere spiegato e forse capito.
Il fenomeno è descritto nell'interessante libro del Prof. Nassim Nicholas Taleb, docente americano di Scienze dell'incertezza, intitolato appunto Il cigno neroCome l'improbabile governa la nostra vita. (Il Saggiatore, 2008).


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