Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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venerdì 13 agosto 2010

Dati, domande, risposte: pragmatismo!

Oggi quoto un post di Di Pietro, di cui non sempre condivido i toni, ma di cui apprezzo spesso i contenuti e l'approccio pragmatico ai problemi.


"Non è il Paese dei balocchi" di Antonio Di Pietro | 12 Agosto 2010
Tieniti aggiornato: www.antoniodipietro.it

Nel post si parla di inflazione, costo della vita, debito pubblico. In effetti i dati sono importanti (anche se non vanno strumentalizzati e, a tal proposito, mi pare il caso di sottolineare che è fondamentale saperli leggere!). E' bene che si parli di economia, di cifre, di statistiche, cui far seguire tuttavia commenti opportuni e sempre documentati. Ho l'impressione infatti che ultimamente si stia perdendo il senso della profondità (a beneficio di quel "surfare" sulla superficie di cui parlavo nel post "Dare a Cesare..." del 10 agosto): si sente dire o "c'è una crisi profonda" o "siamo in ripresa" (a seconda degli schieramenti e, talvolta, della convenienza) spesso senza spiegare esattamente cosa si intende nell'uno o nell'altro caso; salvo poi usare balletti di cifre e numeri (magari per impressionare l'uditorio), senza mai scendere in profondità per illustrare che senso ha una certa tendenza piuttosto che un'altra e, soprattutto, quale ricetta si propone per invertire la rotta o, se la tendenza è positiva, insistere in una certa direzione.

Ricette, soluzioni: dobbiamo chiedere a gran voce ai nostri politici (coloro che eleggiamo per rappresentarci) come hanno intenzione di risolvere un dato problema e dobbiamo esigere una risposta. I consensi devono crearsi attorno a dei programmi credibili, comprensibili, pragmatici.

Ecco: direi che un altro valore da recuperare per costruire un terreno comune di dialogo fra i diversamente pensanti della politica è a parer mio il pragmatismo (dopo quello della coerenza di cui parlavo nel post sulla richiesta di dimissioni a Fini). Senza obiettivi fissati ed idee su come raggiungerli, non andiamo da nessuna parte.

Riappropriamoci della capacità di porre i quesiti fondamentali ai nostri referenti politici. Nell'era della comunicazione globale, perlomeno in Italia, è solo una mia sensazione che chi fa politica ad alto livello non riesca a dialogare con gli elettori nemmeno sui valori di base? "Libertà". Sì, ma da promuovere come? "Giustizia". Ok, ma con quali provvedimenti?

Perché se poi la libertà e la giustizia si traducono nel non farmi intercettare telefonicamente, sapete che c'è: io non ho proprio niente da nascondere!

Pragmatismo, please!       


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