Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 11 agosto 2010

Le dimissioni di Fini, la richiesta del PdL e i valori condivisi.

La politica è cosa spinosa. Scrivere di politica lo è certo meno che farla, per mia fortuna (mia e di chi ne scrive). 


E tuttavia sono consapevole del fatto che dire la mia, oggi, sulla questione all'ordine del giorno nella politica italiana, la richiesta a gran voce di dimissioni per Gianfranco Fini, sia un po' come aprire il vaso di Pandora. 
Gli italiani, lo so bene, sono oramai da anni spaccati in due: da una parte pro, dall'altra contro (prima ancora, a mio parere, che l'appartenenza destra e sinistra). Pro o contro chi? 
Lui, naturalmente: Silvio Berlusconi. So bene quindi che se dico una parola pro Silvio, il 50% degli italiani si schiereranno contro di me, se la dico contro, mi sarà ostile l'altro 50%. 


E tuttavia di politica bisogna parlare, proprio per questa spaccatura così netta e recisa dell'opinione pubblica sulla politica: bisogna parlarne soprattutto per riguadagnare uno spazio di discussione nel quale, a prescindere se si è dell'una o dell'altra fazione, ci sia un linguaggio che ci accomuna nei valori di base, che vengono prima degli schieramenti, prima delle persone e che non devono dipendere da chi votiamo (o da quello che dice chi votiamo). 


Una vera nazione si riconosce nei valori fondanti la collettività ed è su questo che dobbiamo riappropriarci di un dialogo e tornare a parlare la stessa lingua: poi ci divideremo nei programmi, nei colori politici, nella persona da votare. Un passo indietro dunque, o meglio in avanti: il primo valore ineludibile deve tornare ad essere la coerenza. Non si può dire oggi una cosa, domani l'altra: un politico, se vuole sconfessare se stesso, deve fornire delle buone ragioni. E se non lo fa, bisogna chiedere conto del ripensamento e farsi spiegare. E se le spiegazioni non vengono, si deve cominciare a dubitare, e più diventano frequenti i ripensamenti senza spiegazioni, più devono diventare numerosi i dubbi.


Detto ciò, vengo alle dimissioni di Fini. E' mai possibile, in nome della coerenza, che praticamente un intero partito (il Pdl) chieda a gran voce le dimissioni di Fini per un fatto legato all'etica in cui non si vede traccia di alcun illecito, quando il proprio leader Berlusconi è pluriindagato da anni (uno per tutti: il caso Mills) e non si è mai parlato di dimissioni?! Mi chiedo e vi chiedo: coerenza non vorrebbe che il PdL riservasse a Fini  lo stesso trattamento che da anni riserva al proprio leader per questioni ben più pelose?! La cosa, vista così, non sembra un po' paradossale? Non appare un trattamento del tipo "due pesi e due misure"?!
Del resto, come ha ricordato al riguardo Beppe Grillo nel suo blog, l'articolo 67 della Costituzione recita: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".
Questo significa che gli uomini che compongono un partito, eletti da noi, devono mantenere intatto quei valori per cui li abbiamo votati e renderne conto a noi: se gli uomini del PdL sono così garantisti che davanti ai numerosissimi illeciti ipotizzati per Berlusconi non hanno mai parlato di dimissioni ma anzi di un uso politico della giustizia, sono tenuti davanti al proprio elettorato a  mantenere saldamente la stessa opnione in ogni circostanza (tanto più quando quando non si ravvisano illeciti!).

Sulla coerenza, come primo valore, possiamo dunque essere tutti d'accordo e ricominciare un dialogo che prescinda dalle appartenenze e dalle fazioni?


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