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Il Ministro Elsa Fornero |
[Dal
Prof. Woland per la Città Invisibile]
Nel post
Un mondo senza testa avevo commentato l'assurdità - giuridica oltre che etica - della nuova formulazione dell'
articolo 18 che non prevedeva il reintegro nel caso di licenziamento per motivi economici.
Il ministro Elsa Fornero è tornato sui suoi passi e ha modificato la norma, ma purtroppo lo ha fatto in modo tale che anche in questo caso la pazienza del cittadino viene messa a dura prova.
La formulazione emendata, infatti, seppure rappresenti un miglioramento, non appare per nulla degna di un pool di professori.
A leggere l'ultima versione del Ddl:
Il giudice può ordinare al datore di lavoro il reintegro del lavoratore licenziato solo nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del motivo economico.
Ora, se è vero che nella dottrina cattolica la prudenza è la prima delle virtù cardinali, bisogna dire che qui non sembra proprio essere stata la prudenza a guidare la mente del legislatore, bensì una sciagurata volontà di salvare capra e cavoli.
La nuova formulazione mi pare infatti un'offesa all'intelligenza, prima ancora che al diritto.
È, infatti, lapalissiano che il giudice debba semplicemente stabilire se i motivi economici sussistano o no. Dopodiché è del tutto irrilevante, ai fini del giudizio, se la insussistenza sia "manifesta" o non manifesta. Punto.
Quell'aggettivo è illogico, scorretto, subdolo e sospetto.
Non v'è dubbio infatti che la norma, così formulata, introduca infinite possibilità di equivoco.
Poi, come se non bastasse, c'è quel verbo "può": un capolavoro di coerenza.
Che significa una cosa soltanto: anche quando l'insussistenza è addirittura manifesta il giudice può non ordinare il reintegro!
Un assoluto monstrum giuridico.
Aggiungo che sarebbe stato folle anche riservare al giudice la discrezionalità nel caso di insussistenza non manifesta, perché è del tutto ovvio che le sentenze non possono contenere ambiguità (proprio per questo è stata abolita, tanto per fare un esempio, l'assoluzione per mancanza di prove).
Cosicché, se il Ddl diventasse legge, accadrebbe che:
- se il giudice accerta l'insussistenza dei motivi disciplinari condanna senz'altro il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente
- se il giudice accerta la manifesta insussistenza dei motivi economici può (sic!) condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente.
Una disparità assolutamente ingiustificabile, se non con una evidente volontà di compiacere il datore di lavoro: il che viola di fatto - manifestamente! - l'articolo 3 della Costituzione.
Guarda caso
Emma Marcegaglia - già Presidente di Confindustria - che pure aveva giudicato buona la riforma del lavoro (
qui) solo
ora - dopo questa dovuta, ma timida modifica - la "giudica pessima".
Cari Professori, i salti mortali lasciamoli fare ai politici e ai politicanti, da voi ci aspettiamo onestà, competenza e rigore logico.
E a questo riguardo non vorrei che i legislatori accademici si fossero lasciati suggestionare dal ricordo della non manifesta infondatezza ravvisata dal giudice nell'ammettere un ricorso alla Corte Costituzionale.
Sarebbe stato un grave errore, in quanto in questo caso il Giudice ha solo funzione di filtro, essendo la sentenza riservata alla Consulta, che quando si esprimerà dovrà solo dire se la norma è o non è incostituzionale e non ricorrerà in nessun caso all'attributo "manifesto". La sentenza non potrà infatti che seguire il principio aristotelico del terzo escluso (tertium non datur).
Insomma, comunque la si guardi, a quanto pare c'è una sola cosa che sembra essere manifesta, in questo spiacevole caso: l'incongruenza della norma.
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*Il titolo allude ironicamente alla celebre formula sul torto legale (gesetzliches Unrecht) coniata dal filosofo del diritto Gustav Radbruch.
L'articolo 18 e il torto legale.*