Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 6 dicembre 2010

Esempi

E' scomparso il giurista Vittorio Grevi.

Avviene non di rado, a chi scrive di quanto accade nel mondo che ci circonda, di leggere eventi spiacevoli

Ve lo confesso, per quel che mi riguarda non sempre ho la voglia, o anche solo la predisposizione d'animo appropriata, per darne conto. Credo vi sia in me una sorta di meccanismo inconscio che mi porta a compiere un'associazione bislacca e probabilmente, in fondo in fondo, anche in qualche modo egocentrica: se non tratto la notizia spiacevole, infatti, mi sembra un po' come se non fosse accaduto nulla di male. Come chi non guarda il telegiornale per non soffrire delle storture del mondo, per intenderci.

E' una tendenza, badate bene, non una regola. Però un po' è così e oggi lo voglio dire, a voi e a me attraverso voi.
E forse voglio dirvelo perché oggi la sento in modo diverso dal solito. 
Voglio infatti dedicare poche righe ad un lutto.

E' scomparso il giurista Vittorio Grevi, a 68 anni, nella sua Pavia.

Non conoscevo personalmente il Professor Grevi, ordinario di Procedura Penale nella Facoltà di Giurisprudenza della sua città.

In un bell'articolo di ieri del Corriere della Sera, giornale con cui il Prof. Grevi collaborava come commentatore, Luigi Ferrarella apre il suo pezzo così: "Non era all'asta, come già pochi giuristi possono vantare. Ma soprattutto, come pochissimi nel suo campo, non si era messo all'asta".

Inutile dire, come l'articolo di Ferrarella sottolinea, che questo suo non essere schierato per scelta (o forse per inclinazione) - là dove l'unico fulcro del suo agire e del suo scrivere, dunque del suo pensare, era null'altro che il Diritto - ha voluto dire attirarsi negli anni atteggiamenti non sempre favorevoli, negli ambienti italici, professionali come politici.

Ed anch'io, come Ferrarella lascia intuire, penso che questa sua indipendenza  costituisca già di per sé un vanto non solo personale, ma anche per la comunità scientifica (talvolta troppo facilmente dimenticata, da chi vi fa parte, per favorire magari altri ideali) e dunque per il paese tutto.

Poi c'è la sua attività da docente, che a leggere qua e là nella rete, testimonia in modo indiscusso il suo amore per l'insegnamento. E per la vita.

Amore che traspare, in tutta la sua profondità e semplicità assieme, dallo splendido articolo che il Prof. Grevi scrisse per l'Osservatore Romano il 22 aprile 2007, in occasione della visita di Benedetto XVI a Pavia.
Il titolo era: "Vivere, insegnare e studiare all'Università di Pavia". 
Eccone un passaggio chiave (tutto l'articolo lo trovate riportato QUI):

“…Penso al piacere, dalla primavera all’autunno, di studiare e scrivere sulla propria scrivania con le finestre aperte, sentendo fragranze di glicini o di magnolie provenienti dai cortili, o i profumi delle vicine campagne, o gli odori del Ticino che scorre non lontano; ma anche avvertendo, senza essere distratti, il brusio degli studenti che si concedono qualche pausa alle ricerche in biblioteca; e talora, nei giorni festivi, registrando il passaggio di intere famigliole di turisti (ivi compreso qualche piccolo futuro studente) in visita ai loggiati dell’Ateneo, che sono di transito pubblico. Qui è immediata la sensazione dell’Università che vive dentro la città, e si alimenta così anche nei docenti, proprio mentre si studia o si scrive, la speranza di poter in tal modo fare qualcosa di utile – ognuno nel campo delle rispettive discipline – per il progresso della società civile, nella quale si è anche fisicamente immersi.
Penso alla fortuna di essere professore della materia che più mi appassiona, all’interno di una Facoltà di media grandezza (come sono pressoché tutte le Facoltà pavesi), dove i docenti si incontrano praticamente ogni giorno, si scambiano idee e discutono delle proprie attività scientifiche, come pure di problemi più generali attinenti alla didattica, al mondo universitario, alle grandi questioni politiche ed istituzionali. Ma penso anche, nel contempo, alla fortuna di avere un numero relativamente limitato di studenti (spesso di primo, e talora di primissimo livello, grazie al reclutamento operato dai collegi universitari su basi di merito), così da poterli conoscere quasi uno per uno, specialmente se frequentanti; così da poter avere con loro colloqui informali, come ideale prosecuzione delle lezioni; così da poterli accompagnare, in quanto laureandi, nelle prime ricerche di qualche impegno. E poi, ancora, penso all’opportunità di coltivare i migliori, indirizzandoli e consigliandoli, sulla base di un rapporto personale ormai consolidato, verso ulteriori prospettive: nelle scuole di specializzazione, nel mondo del lavoro o, talora, nello stesso circuito universitario. Pavia, infatti, è sempre stata in vivaio fecondo di giovani che, una volta assaporato il gusto dello studio, non si accontentano di un diploma di laurea pur brillantemente conseguito…”

Le parole del Prof. Grevi che avete appena letto, oltre ad illuminare il ritratto sfocato di chi non lo conosceva permettendo di coglierne la spiccata umanità, lasciano anche intravedere l'esistenza di realtà (in questo caso accademiche) che talvolta in Italia neppure immaginiamo esistano lontanamente.
Realtà in cui prevale il merito, la passione, l'attenzione nei confronti del rapporto personale.

Questa era la realtà in cui viveva il Prof. Vittorio Grevi.

E noi lo ringraziamo, oltre che della sua vita dedicata alla scienza e all'insegnamento, di averci fatto scorgere attraverso il suo esempio un barlume di luce in fondo alla caverna.

Perché è proprio là, verso quel barlume, che una gran parte dell'Italia sana lotta per arrivare, lasciandosi il buio alle spalle.

E dobbiamo credere che vi riuscirà.


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