Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 7 dicembre 2011

Non aprite (più) quel Porta a Porta...

Bruno Vespa visto da Marco Martinelli
Dopo anni di tributi gaudenti all'anima peggiore del berlusconismo, fra contratti farlocchi, plastici di Cogne ed Avetrana, cartine geografiche con l'Italia ridisegnata (ovviamente da Silvio), pseudo-perizie in diretta, armi del delitto in favore di telecamera e tette al vento; dopo anni di pervicacia costante nell'attività di jamming informativo volta a distogliere il pubblico da una crisi mai presa sul serio (se non addirittura negata), ebbene il Bruno nazionale cambia pelle ancora una volta.


Col Presidente del Consiglio in studio - il Prof. Mario Monti chiamato a salvare l'Italia dalla catastrofe - Vespa sfodera il suo più affettato savoir-faire, rispolverando il miglior stile vetero-democristiano da prima repubblica.

Cosa c'è di male?

Semplicemente, che non se ne può davvero più.

Il trasformismo, è vero, è uno dei nostri vizi più odiosi ed inveterati.

Ma se davvero vogliamo voltare pagina, in questo paese, dobbiamo far sì che chi sbaglia sia fatto accomodare alla cassa e indotto a pagare.

Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", faceva dire a Tancredi il buon Tomasi di Lampedusa.

Orbene, se vogliamo provare a liberarci dalla schiavitù di questo atavico gattopardismo, è ora di darsi una mossa.

Porta a Porta ha fatto il suo tempo.

Questo format furbetto che ha cavalcato per anni l'onda di un'Italia voyeuristica, sempliciotta, superficiale, disinteressata ai veri problemi, avida di pettegolezzi, in una parola nazionalpopolaristica nel senso più deleterio del termine, ha già mietuto abbastanza vittime, mediaticamente parlando.

Altro che promozione in prima serata, guarda caso pensata dal regime berlusconiano il cui unico obiettivo era lo stordimento delle coscienze.

Se vogliamo puntare a far rinascere dalle sue ceneri - come l'araba fenice - la televisione di stato annientata da Sua Emittenza da Arcore e a ricostruire una Rai che faccia realmente servizio pubblico, urgono riforme strutturali severissime.

Che possono andare addirittura in controtendenza con le politiche economiche del momento.

Perché per Porta a Porta e il suo maculato conduttore il prepensionamento non è più solamente auspicabile.

Oramai, abbiate pazienza: è un atto dovuto.


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