C'è qualcosa di surreale nel raduno di Pontida.
Qualcosa che va oltre il verde di camicie, T-shirt, cravatte, fazzoletti, cappellini, bandiere e persino barbe.
Qualcosa che va oltre le armature, gli elmi cornuti in salsa vichinga, le icone per quell'Alberto da Giussano la cui figura mitologica è del tutto priva di qualsiasi fondamento storico.
Qualcosa che ha il colore indistinto della nebbia di quelle valli.
E l'aspetto mesto di un Pierrot dal futuro incerto.
Perché la Padania non è la Scozia di Braveheart.
E Umberto Bossi non è Mel Gibson.
E se da un lato assistiamo alla sfilata in passerella di una sfilza di Ministri della Repubblica Italiana che parlano ad un popolo anacronistico inneggiante la secessione, dall'altro appare evidente che la Lega sta finendo invischiata nelle sabbie mobili del Caimano e si domanda sempre più spesso se e come ne uscirà viva.
Perché la questione è tutta qui: se la Lega stacca la spina - come gli chiede il centrosinistra e ormai anche il terzo polo - e si va ad elezioni, la sconfitta appare piuttosto probabile (Bossi lo ha detto chiaramente che questo è il maggiore timore legato al presente).
Se invece la Lega persiste nell'abbraccio mortale col Sire di Arcore sempre più in declino, altri due anni di immobilismo politico (o magari qualcosa di peggio) rischiano di far disamorare definitivamente la base dell'elettorato leghista, che quanto a mal di pancia è già messo piuttosto maluccio.
Ecco allora che la parola d'ordine è prendere tempo.
E puntare a gestire la delicatissima fase di transizione del centrodestra: in primis, il declino della leadership di Berlusconi.
Ma attenzione: anche - e per la Lega soprattutto - il passaggio di testimone del leader storico, Umberto Bossi.
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Fonte: la Repubblica. |
Non è un caso, credo, che l'unico sul palco ad indossare
un elegante vestito presidenziale sia stato oggi quel
Roberto Maroni a più riprese incitato dalla folla con cori e striscioni.
Insomma, più che alla secessione, la Lega si prepara anch'essa all'impegnativa sfida della successione.
E lo fa puntando su un esponente più moderato di Bossi, più "normale", nel senso di meno "rustico"; più istituzionale e, dunque, più rassicurante.
Un esponente che possa anche provare a raccogliere, perché no, la delusione di qualche elettore del Nord (e non solo?) nei confronti di Silvio Berlusconi.
Passare questo guado, attuare cioè una sintesi definitiva tra la Lega di Alberto da Giussano e la Lega governativa, è un'operazione rischiosa, che non può essere condotta né bruciando le tappe anzitempo, né rinviando all'infinito.
Ecco perché non ci sarà, nell'immediato, nessuna rottura col Governo.
Ecco perché, oggi, Maroni è stato investito ufficiosamente della leadership leghista del futuro.
E come leader ha parlato.
Riassumendo il nuovo progetto leghista nella frase di chiusura del suo intervento, dai toni vagamente ossimorici:
“Siamo un popolo di barbari, ma siamo barbari sognatori. E sogniamo la Padania libera”.
Poco importa se il tentativo di addolcire la figura dei barbari - con l'epiteto 'sognatori' - finisce con quell'espressione apparentemente forte - ma in realtà abusata al punto da essersi oramai quasi svuotata di significato - che è "Padania libera", espressione nella quale viene da chiedersi se chi l'ha pronunciata creda realmente.
Il progetto di una nuova Lega - come dire, più polite - è nato oggi a Pontida.
Una Lega che palesemente mira a raccogliere l'eredità di un centrodestra allo sbando.
Resta da capire se in questo progetto è previsto anche un restyling delle note posizioni estremiste, xenofobe e omofobe, oltre che secessioniste e, se così dovesse essere, con quale contraccolpo sull'elettorato storico.
Quel che è certo è che l'obiettivo metamorfosi è cominciato.
E porta il nome di Roberto Maroni.
La Lega a Pontida: l'ora della metamorfosi.