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"La ragione è un'isola piccolissima nell'oceano dell'irrazionale" (Immanuel Kant)
La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".
Tetto cercasi per atterraggio miracoloso. Astenersi perditempo.
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diegod56 50p · 718 settimane fa
detto questo, l’amara considerazione che la mia infeconda mente d’accaldato ultracinquantenne riesce a secernere è:
purtroppo, gli esseri umani sono dotati di una eccezionale capacità d’abituarsi, per cui ciò che magari trent'anni fa sarebbe apparso abnorme ed impossibile, oggi sembra normale
ho una tesi vagamente mistica e un poco reazionaria al riguardo, ma che esporrò in questo autorevole ma tollerante blog
tutti i guai nascono dal degrado, dall’appannarsi del senso del sacro, perchè secondo me ogni confine, ogni limite, ogni senso della giusta misura non nasce da ragionamenti cartesiani, da forme di deduttivo ragionare, ma nasce dal fastidio profondo, dall’ ybris che una scelta, una decisione ingenera
a volte il linguaggio corrente riflette questa concezione, ricordo bene di aver detto, quando ero un lavoratore dipendente, di fronte all’idea di dover lavorare al sabato dopo aver già fatto 50 ore da lunedì a venerdì, «no, mi spiace, sabato è sacro»
così quindi quando viene inferta una ferita ai nostri diritti, come ad esempio quando ci hanno portato a noi artigiani la pensione a 67 anni. il bruciore che provi, è perchè hai avuto la sensazione che sia stata violata la soglia «sacra» dei 65 anni
così la nostra indignazione sale quando ti accorgi che tu, artigiano od operaio, devi dire a tuo figlio, bravo a scuola, mi dispiace ma io all'università non posso mandarti, perchè ci pare sia colpito un diritto «sacro», seppur un sacro costituzionale e non antico, cioè che un bravo giovane possa studiare
insomma, ci arrabbiamo solo quando sentiamo che c'è stata un”ybris, una dismisura, un violare il «sacro», e purtroppo, queste soglie si sono allontanate, tante decisioni immonde del potere non ci sembrano più mostruose come un tempo
ci hanno tolto il senso del sacro, che è l’unico vero presidio contro il male, a mio sommesso ed arcaico avviso
patrizia · 718 settimane fa