Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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martedì 28 giugno 2011

Tetto cercasi per atterraggio miracoloso. Astenersi perditempo.



P4.

Le intercettazioni dell'era Masozoica, da cui emerge la squisita e raffinata competenza televisiva sulla base della quale, sicuramente dopo accurata selezione, fu scelto l'ex Direttore Megagalattico, Lup. Mann., Ing. Dott., Cav. di Gran Croce Mauro Masi come impavido condottiero della televisione di stato.

Attila fu meno traumatico: la fuga multipla dei "professionisti degli ascolti" da Mamma Rai ricorda i fili d'erba del leggendario unno.

L'organizzazione a "bordello" ipotizzata per il Presidente del Consiglio riguardo alle sue "cene eleganti" con statuina di Priapo danzante tra una portata e l'altra.

Le pensioni sempre più chimera per i giovani lavoratori di oggi.

I giovani di oggi non lavoratori sempre più numerosi.

Passata la sbornia elettorale e referendaria, la routine quotidiana in cui siamo presto riscivolati non dà segni di inversione di tendenza.

La sensazione drammatica è che "la macchina-Italia" stia precipitando in modo anomalo né più né meno come è  realmente capitato all'autovettura nella foto in apertura di post.

La buona notizia è che anche nelle situazioni più impensate può spuntare un tetto imprevisto che ti salva le chiappe.

La cattiva notizia è che la probabilità che questo accada è tristemente remota.

Speriamo solo di riuscire ad essere l'eccezione che conferma la regola.


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Commenti (2)

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c'è un dettaglio inesatto: la pensione è una chimera ormai anche per chi ha cinquant'anni (anche se ormai il concetto di giovane si è dilatato a dismisura)

detto questo, l’amara considerazione che la mia infeconda mente d’accaldato ultracinquantenne riesce a secernere è:

purtroppo, gli esseri umani sono dotati di una eccezionale capacità d’abituarsi, per cui ciò che magari trent'anni fa sarebbe apparso abnorme ed impossibile, oggi sembra normale

ho una tesi vagamente mistica e un poco reazionaria al riguardo, ma che esporrò in questo autorevole ma tollerante blog

tutti i guai nascono dal degrado, dall’appannarsi del senso del sacro, perchè secondo me ogni confine, ogni limite, ogni senso della giusta misura non nasce da ragionamenti cartesiani, da forme di deduttivo ragionare, ma nasce dal fastidio profondo, dall’ ybris che una scelta, una decisione ingenera

a volte il linguaggio corrente riflette questa concezione, ricordo bene di aver detto, quando ero un lavoratore dipendente, di fronte all’idea di dover lavorare al sabato dopo aver già fatto 50 ore da lunedì a venerdì, «no, mi spiace, sabato è sacro»

così quindi quando viene inferta una ferita ai nostri diritti, come ad esempio quando ci hanno portato a noi artigiani la pensione a 67 anni. il bruciore che provi, è perchè hai avuto la sensazione che sia stata violata la soglia «sacra» dei 65 anni

così la nostra indignazione sale quando ti accorgi che tu, artigiano od operaio, devi dire a tuo figlio, bravo a scuola, mi dispiace ma io all'università non posso mandarti, perchè ci pare sia colpito un diritto «sacro», seppur un sacro costituzionale e non antico, cioè che un bravo giovane possa studiare

insomma, ci arrabbiamo solo quando sentiamo che c'è stata un”ybris, una dismisura, un violare il «sacro», e purtroppo, queste soglie si sono allontanate, tante decisioni immonde del potere non ci sembrano più mostruose come un tempo

ci hanno tolto il senso del sacro, che è l’unico vero presidio contro il male, a mio sommesso ed arcaico avviso
Gentile Diego, sono d'accordo con lei per quanto riguarda la nostra capacità di indignarci solo quando le decisioni scellerate ci colpiscono profondamente e ci danno la dimensione della nostra fragilità e impotenza. Oggi, però, c'è qualcosa in più da mettere in conto: il superamento del senso del ridicolo in termini di cittadini, di Paese. La tanto attesa manovra economica sembra dilazionabile alla fine di questa legislatura, la P4 è una fastidiosa inchiesta senza risvolti penali, i festini di Arcore sono cenette tra amici, i precari sono la parte peggiore del Paese. Sono una giovane 54enne in mobilità dopo 27 anni di lavoro, non vedrò mai la pensione, vivo all'Aquila, la città morta, ma le decisioni di questi impiastri senza vergogna mi sembrano, a prescindere dalla mia situazione personale, mostruose e irresponsabili.

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