Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 15 giugno 2011

Giuliano Ferrara e l’ossimoro deprimente.



[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


Lo scorso 8 giugno, al Teatro Capranica di Roma, si è riunita la sedicente assemblea dei "liberi servi".

Regia: Giuliano Ferrara.
Cast:  Maurizio Belpietro, Mario Sechi, Alessandro Sallusti, con la partecipazione straodinaria di Vittorio Feltri.

Ora: a parte la stranezza, tutta italiana, di assistere ad un congresso di partito ove i congressisti sono dei giornalisti, direi che l'ossimoro liberi servi non fa ridere, anzi è deprimente.

L'aggettivo libero preposto al sostantivo non modifica la caratteristica fondamentale dei 'nostri' giornalisti, che dunque si autodefiniscono servi.

Avremmo tanto sperato che l'assemblea fosse indetta da servi liberi, ma purtroppo ciò non è stato e forse non sarebbe cambiato nulla.

Anche nella Roma antica, infatti, i liberti (cioè gli schiavi affrancati) continuavano a vivere nella casa del patronus e mantenevano doveri di rispetto ed obblighi.

Di natura economica.
... Nihil sub sole novum!
                   (Ecclesiaste 1,9)


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