Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 9 novembre 2011

Istantanea di un delitto. Premeditato.

L'Italia brucia.
Ho voluto aspettare qualche ora prima di gioire per la notizia delle dimissioni promesse (sottolineo: promesse) da Silvio Berlusconi.

Dimissioni condizionate.

Perché ha deciso lui come e quando uscire di scena.
Dettando, appunto, le condizioni.

Dimissioni sì dunque (quello che del resto gli veniva richiesto ormai non solo a livello nazionale, ma addirittura internazionale), ma non subito: solo dopo l'approvazione della legge di stabilità.

Altro bonus di tempo pertanto. Come un anno fa, quando un mese aggiuntivo gli consentì di rabberciare la sua maggioranza-colabrodo e presentarsi alla fiducia, salvandosi in extremis, dopo aver tappato le falle della nave, che rischiava di  colare a picco, con mastici tipo Scilipoti, Razzi e compagnia cantante.

La sensazione dell'indomani è che in molti, emotivamente e/o razionalmente, si sia caduti nel trappolone mediatico organizzato dal Premier e dai suoi a partire da ieri sera.

Telefonata al Tg1, telefonata al Tg5, Bondi a Ballarò, Sechi: tutte le dichiarazioni convergevano verso il messaggio "Berlusconi si è dimesso" e - occhio al passaggio chiave - ne è garante Napolitano (che purtroppo, consentitemi la metafora, è scivolato sulla buccia di banana contribuendo alla diffusione della "buona nuova" con una nota del Quirinale subito strumentalizzata).

Obiettivo: dire a tutti - mercati in testa - quello che si volevano sentir dire da tempo, nella convinzione che questo sarebbe bastato a tacitare la bufera economica.

Metaobiettivo: organizzarsi fino alla votazione sulla legge di stabilità, cominciando nel frattempo il tam tam sul voto necessario ("elezioni subito", gridano infatti all'unisono il Giornale e Libero sulla prima pagina di oggi), e mettere in crisi le opposizioni, che ora hanno il dilemma se votare o non votare la fiducia sulle misure economiche, perché se le votano rischiano di essere accusate dal proprio elettorato di aver colluso con Berlusconi (e questioni come l'art. 18 costituiscono un innesco micidiale), mentre se non le votano rischiano di apparire come irresponsabili in uno dei momenti più drammatici della storia del nostro paese.

Un piano perfetto, no?

Non proprio.

Piuttosto la solita, pericolosissima furbata spacciata per amor patrio - parola di Silvio - e invece perfettamente in linea con le strategie dittatoriali del sire di Arcore.

Pericolosissima perché i mercati hanno già reagito come anche un bambino avrebbe potuto prevedere.

Facendo cioè esplodere la loro sfiducia e precipitando l'Italia ben al di là della soglia limite di emergenza (tra l'altro, la furbata ha fatto addirittura precipitare Mediaset dell'11%...).

All'ultimo insulto che un Premier ormai neppure più inadeguato, ma esclusivamente pernicioso, poteva infliggere a questo paese, si aggiungono i balletti di un'opposizione che al momento appare risolutamente impegnata nel capire qual è la mossa più vantaggiosa per sé.

Votare è evidentemente al momento la scelta più irresponsabile per questo paese: eppure dopo Berlusconi, si accodano alla richiesta non solo Vendola ma anche Di Pietro e così pure - attenzione - la corrente benpensante del PD.

Del tutto incuranti dell'incendio da domare, con la mente soltanto a "fare cassa" sull'onda dell'antiberlusconismo (col timore che fra qualche mese o fra un anno si possa perdere qualche manciata di voti).

Fingendo di dimenticare che abbiamo un disperato bisogno, oltre che di calmierare i mercati, almeno di una legge elettorale nuova, se non di qualche fondamentale riforma strutturale che azzeri tutto e provi a farci ripartire di slancio.

Seppure l'istinto è quello di lasciarsi andare ad ovvi entusiasmi per la fine ormai prossima del regime, uno sguardo attento ed obiettivo all'orizzonte futuro sgomenta e atterrisce

E dà corpo alla sensazione che la classe politica attuale non vada soltanto ripensata.

Ma praticamente riscritta.

Mentre i titoli di coda dell'italianissimo thriller chiamato "Prima Repubblica" tardano ancora a dissolversi sullo schermo consunto.

Update dell'10 novembre.

Il Presidente Napolitano, dopo il mercoledì di passione delle borse che affossano l'Italia, corre ai ripari e nomina Mario Monti senatore a vita, praticamente lanciandolo per la Presidenza del Consiglio del governo tecnico: un segnale forte e chiaro. Che puntuale arriva ai mercati oggi in ripresa. Bene così, Presidente. Avanti tutta.


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