Il governo Monti è ufficialmente in carica. I Ministri hanno giurato.
L'impressione ad oggi, mentre scrivo, è che vi sia una certa euforia, non saprei quanto salutare.
Euforia che pervade - si badi bene - non tanto un popolo liberato, quanto un parlamento alleggerito.
Le manifestazioni di giubilo di sabato sera, dopo le dimissioni di Berlusconi, sono state un episodio.
Che si è praticamente dissolto passata la nottata. Com'era giusto che fosse, aggiungerei, considerata la drammatica situazione economica che ci vede tristemente protagonisti.
Anche per questo la sensazione è che questo popolo disgraziato sia senz'altro più avveduto della classe politica che lo rappresenta (ci vuole poco, direte voi).
Classe politica che infatti, fatta eccezione per alcuni interessi personali divergenti (vedere alla voce Lega), si è ricompattata su un governo tecnico che agli occhi dell'opinione pubblica li deresponsabilizza da qualsiasi ruolo decisionale.
In tal senso, l'atteggiamento che si profila all'orizzonte appare fin troppo lampante: quando ci sarà da votare misure o riforme impopolari, le voteranno, salvo dire "non l'abbiamo deciso noi e comunque abbiamo votato per responsabilità verso la nazione in crisi".
La chiave di lettura del sollievo dei nostri parlamentari mi pare giustifichi come mai sia a destra che a sinistra ci sia un compiacimento generale che va ben aldilà della cortesia istituzionale e dell'appoggio deciso a tavolino per amor di patria.
Con questo non intendo dire che la scelta dei Ministri fatta dal Presidente Monti sia discutibile.
Certo mi chiedo se la nutrita rappresentanza cattolica e il delinearsi dell'asse Milano-Torino nella compagine di governo possano considerarsi casuali (e mi rispondo che è piuttosto improbabile).
Ma in definitiva non è questo il punto.
Il punto è che la soddisfazione bipartisan dei nostri amati politici è quantomeno sospetta.
E mi pare sollevi un paio di quesiti nient'affatto scontati.
Il primo: possibile che due fazioni così fieramente opposte da anni (almeno sulla carta) riescano a convergere così rapidamente su un piano di emergenza nazionale?
La mia risposta è no: non è possibile. E la spiegazione che mi do di questo atteggiamento è che entrambi gli schieramenti sentivano e sentono di aver bisogno di tempo. Il centrosinistra perché è dilaniato al suo interno e deve ancora capire qual è l'idea di paese che intende proporre unitariamente (ammesso che questo sia possibile). Il centrodestra perché il dopo-Berlusconi va studiato con attenzione per evitare tonfi memorabili.
Ed ecco il secondo quesito: se si poteva convergere così facilmente per il bene del paese, perché non lo si è fatto prima di arrivare sull'orlo del precipizio?
A mio parere perché la presenza di Berlusconi esacerbava insanabilmente la divaricazione tra le due fazioni.
Forse è prematuro giungere a delle conclusioni.
Ma tutti questi elementi mi sembrano confermare la sensazione che il dibattito politico degli ultimi anni si sia talmente svuotato di contenuti reali che non appena i nostri parlamentari sono stati costretti a siglare un armistizio nell'ormai sterile guerra tra bande, le rispettive fazioni si sono ritrovate a fare i conti col vuoto che hanno contribuito a creare e ora si sentano terribilmente disorientati.
Cosa che, ne converrete, equivale a dire che il gravoso compito di riempire nuovamente di contenuto quei due serbatoi svuotati che sono diventati, per motivi diversi, il centrodestra e il centrosinistra sarà ben più complesso di quanto non sembri.
La quiete dopo la tempesta.