Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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venerdì 25 novembre 2011

Democrazia e gerontocrazia.

Paul Demeny
[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


Nel mio ultimo post Altro che democrazia sospesa, che prendeva spunto da un articolo di Piergiorgio Paterlini, si potevano intuire alcune incertezze sul ruolo della democrazia nel mondo contemporaneo.
Sulla democrazia si sono scritte montagne di volumi e sarebbe ora troppo oneroso affrontare, in poche righe, le mille problematiche che riguardano questa istituzione.
Abbiamo spesso tentato, di fronte alle tante perplessità che non potevamo fare a meno di nutrire, di consolarci con il famoso aforisma di Winston Churchill “democracy is the worst form of government except all those other forms that have been tried from time to time”, ma ci ripetevamo la frase come fanno i bambini quando vogliono farsi coraggio.

La realtà è che la democrazia è un tabu, ed è quindi difficile affrontare l'argomento senza provocare preoccupazioni e diffidenze. Inoltre pochi sanno cosa si dovrebbe intendere davvero per democrazia: i più considerano democratico un paese dove vi siano libere elezioni.
Chiunque abbia studiato seriamente l'argomento sa, invece, che questa condizione, pur necessaria, non è sufficiente per la realizzazione della democrazia.
Mi limito, in proposito, a rimandare al saggio di Robert Alan Dahl* On democracy (Sulla democrazia, Laterza, 2006).

In quest'occasione vorrei mettere a fuoco un solo aspetto del problema: come si possa, in un mondo in cui la vita media è in continuo aumento, combattere la gerontocrazia.

È sotto gli occhi di tutti il fatto che la nostra società è governata dagli anziani: in politica, nei giornali, in tv, nei consigli d'amministrazione, direi ovunque, la presenza dei "vecchi" è preponderante.
Quale futuro allora possono avere i giovani e quando potranno dare il loro contributo di idee nuove, se non c'è mai posto per loro?
Come si potrà porre rimedio al cosiddetto "accorciamento della scala temporale" secondo il quale non solo i mercati, ma anche i nostri governanti vivono nella dimensione del mark-to-market che si traduce nell'incapacità di un'ottica temporale, in una "veduta corta"** per cui conta solo l'oggi e non il domani? 

Ma il domani è il futuro dei nostri giovani.

Una delle teorie che hanno tentato di correggere questa deriva demografica va sotto il nome di Demeny voting** (Paul Demeny è un illustre demografo americano di origine ungherese).
È una teoria che risale al 1986 ma che sta diventando attuale in questi anni.
Secondo Demeny i minori non devono essere senza diritti e senza rappresentanza fino alla maggiore età, quindi occorre dare un proxy vote (voto delega) ai loro genitori. Ogni genitore avrebbe così un voto che vale mezzo punto - questo per rispettare eventuali diversità di opinione politica tra i genitori - per ogni figlio a carico.
Naturalmente il voto delega sarebbe esercitato fintanto che il minore non sia maggiorenne.
Questo sistema, afferma Demeny, consentirebbe  “to make the political system more responsive to the young generation's interests”, di rendere il sistema politico più sensibile agli interessi delle giovani generazioni.

L'idea non è cosi peregrina se in Germania nel 2003 il Kinderwahlrecht fu oggetto di una mozione al Bundestag da parte di 47 deputati, in Austria esiste un movimento intitolato Kinderwahlrecht jetzt! (diritto di voto ai bambini subito!) e il politologo Philippe C. Schmitter (Professore emerito del Department of Political and Social Sciences at the European University Institute) ha elaborato un progetto di Costituzione Europea che estende il diritto di voto ai minorenni in tutti i Paesi dell'Unione.
Se un tale progetto dovesse realizzarsi ci sarebbe davvero una rivoluzione: l'Italia, per esempio guadagnerebbe  ex abrupto 10 milioni di elettori. Voti delega, certo, ma pur sempre voti.
Anche il Giappone - che ha un grave problema di distorsione demografica a favore degli anziani - sta studiando il Demeny voting e nel marzo del 2011 ha ospitato un importante convegno sul tema.

Non saprei dire se il sistema Demeny possa funzionare - sono stati suggeriti anche altri metodi, come ad esempio quello di pesare il voto secondo l'età - ma certo gli esempi riportati indicano che il problema della rappresentanza e del futuro dei giovani è sempre più importante e più urgente nel mondo.

E che in qualche modo occorrerà seriamente affrontarlo.
__________________________________________
*Professore emerito di scienze politiche all'Università di Yale, viene considerato il più grande studioso del modo sull'argomento.
** Tommaso Padoa Schioppa La veduta corta, il Mulino, 2009.
***Il termine è stato coniato nel 2007 da Warren C. Sanderson, demografo ed economista (Stony Brook University).

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