Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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giovedì 9 settembre 2010

Andreotti: Ambrosoli se l'andava cercando. Che civiltà siamo?

Andreotti su Ambrosoli: non era meglio tacere?


Devo al blog di Alessandro Gilioli - Piovono Rane, che sollecita (e solletica) spesso pensieri e riflessioni di vario genere - se stamani ho scoperto un articolo di Piergiorgio Paterlini (ospite di Gilioli) che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia.

Intervistato nel programma La storia siamo noi (in onda questa sera, 9 settembre), Giulio Andreotti ha affermato riguardo all'omicidio dell'avvocato Ambrosoli (uno degli eventi oscuri della storia italiana, che ha visto incredibili intrecci fra mafia, politica, P2, banchieri, Vaticano, Stati Uniti, ecc., ecc.) che la vittima "se l'andava cercando". 

Pausa di riflessione.

Paterlini sostiene che questo gli sembra un monito per qualcuno del presente, più che un'affermazione analitica rivolta a qualcuno del passato.

Non so, e nel merito non vorrei entrare.

Mi limito a considerare, a livello di comunicazione istituzionale (lo ricordo: Andreotti è Senatore a vita della Repubblica italiana), che la dichiarazione è certamente da considerarsi esecrabile.

Ciò detto, per non rischiare l'indignazione, distolgo il mio pensiero dal fatto in sé e volo per un attimo nell'antica Grecia (lo sapete, il richiamo del passato, per me, è sempre molto forte).

Uno dei libri più interessanti che io abbia mai letto si intitola I Greci e l'irrazionale. Lo scrisse nel 1951 uno studioso di una profondità inaudita, Eric Robertson Dodds.

Una delle teorie portanti del libro è che la civiltà greca arcaica è suddivisibile in due macro-momenti: (1) civiltà della vergogna, (2) civiltà della colpa.

Nella civiltà della vergogna (il riferimento letterario è l'Iliade di Omero), quello che muoveva gli uomini non era
la buona o la cattiva coscienza ed un certo senso etico, quanto piuttosto il giudizio del prossimo, il riconoscimento degli altri.

Successivamente, vi fu la civiltà della colpa: le azioni erano sottoposte al giudizio divino e perciò stesso l'uomo cominciò a sentirsi responsabile (e dunque colpevole) del proprio operato e delle rispettive conseguenze.

La domanda che pongo è: a che stadio della civiltà siamo, oggi?

Del giudizio divino, o delle Leggi, o di quant'altro sia Norma Etica, ci preoccupiamo poco o nulla. Nel migliore dei casi, inseguiamo forse il consenso (regredendo storicamente, pertanto).

Che civiltà siamo dunque? O forse sarebbe più corretto chiedersi: che inciviltà siamo diventati?

Piccola chiosa metodo-logica: Andreotti si è detto molto dispiaciuto per il "grave fraintendimento" delle sue parole e nel tentativo di riparare ha aggiunto: «Intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto».

Caro Andreotti, fine dottore delle sottigliezze, mi consenta: se lei avesse voluto riferirsi alla decisione di Ambrosoli di assumere un incarico difficile, avrebbe detto "se l'è cercata". Invece ha detto "se l'andava cercando" e con questo poteva riferirsi solo a qualcosa di reiterato, dunque all'operato quotidiano dell'avvocato.

Sempre che l'italiano non sia un'opinione. Ci pensi bene, lei che è uomo di cultura. Vedrà che è come dico.

E la prossima volta, faccia il favore: se le scappa un'affermazione del genere, pensi a Dodds e si ascriva di diritto ad una delle due civiltà greche.

Quale scelga lei.

A questo giro, però, ci pensiamo noi: le riserviamo un bel posticino d'onore in quella della vergogna. 

Del resto, come dire: se l'è proprio andato a cercare.

Forse potrebbe interessartiBrunetta al Pd: squadristi. A lezione di democrazia dal Ministro.
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FONTI: http://www.corriere.it/politica/10_settembre_09/ambrosoli-andreotti_9ff648bc-bbd1-11df-8260-00144f02aabe.shtml


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1 commenti:

Anonimo ha detto...

beh ad Andreotti diamo l'attenuante dell'età: il 14 gennaio scorso ha compiuto 91 anni. Se fosse stato più lucido, intendo dire, l'avrebbe messa meglio la toppa.
Prof. Woland

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