Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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sabato 18 settembre 2010

Morto un militare italiano in Afghanistan: Alessandro Romani, uno di noi.

Il Ten. Romani ha perso la vita in Afghanistan.

Il Tenente Alessandro Romani era uno di noi.

Si può essere più o meno d'accordo, come sempre in queste delicate questioni, riguardo alla presenza dell'Italia in Afghanistan, e ognuno ha il diritto di veder rispettata la propria opinione.

Quello che è certo, tuttavia, è che il personale dei nostri contingenti che presta servizio laggiù mette corpo ed anima nella missione assegnata, che è quella di aiutare gli Afghani a costruire una propria stabilità sociale.

I nostri militari lavorano con la popolazione afghana e per la popolazione afghana, relazionandosi ogni giorno con persone di una cultura diversa, proteggendo le loro vite e i loro diritti, nel tentativo di stabilizzare una regione sotto scacco per via delle difficoltà economico-sociali e dell'integralismo dei talebani.


Per questo il Tenente Romani, caduto ieri in Afghanistan durante un'operazione per la cattura di alcuni terroristi, era uno di noi. Perché il suo compito era tentare di rendere un'area della nostra civiltà più sicura, e la sua gente, la gente afghana, più capace di difendere i propri diritti e di vivere, di conseguenza, una vita "normale", più simile alla vita "normale" che noi siamo liberi di vivere e che possiamo sperare di continuare a vivere anche grazie al contributo dei militari che operano in missioni del genere.

Il Tenente Romani ha dato la vita per questo.

Ed è anche per questo che Alessandro era uno di noi.

AGGIORNAMENTO del 20 settembre: (fonte Ansa) queste le parole di Monsignor Vincenzo Pelvi, ordinario militare, nell'omelia pronunciata ai funerali del Ten. Romani: "Alessandro in Afghanistan voleva che gli ordigni non spegnessero più i sogni dei bambini, che le donne non fossero più sfigurate e lapidate, che gli uomini non fossero più legati su pali in attesa della morte, dinnanzi agli occhi dei figli".

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1 commenti:

Anonimo ha detto...

Riporto qui il monologo che colonnello Jessep (uno splendido Jack Nicholson)recita sul banco degli imputati nel bel film A Few Good man (codice d'onore in italiano)in risposta a chi lo accusa di aver violato le regole:
" Tu non puoi reggere la verità. Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile… chi lo fa questo lavoro? Tu? O forse lei, tenente Weinberg? Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire. Voi piangete per Santiago (un marine morto per nonnismo n.d.r.) e maledite i marines. Potete permettervi questo lusso. Vi permettete il lusso di non sapere quello che so io: che la morte di Santiago, nella sua tragicità, probabilmente ha salvato delle vite. E la mia stessa esistenza, sebbene grottesca e incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite. Voi non volete la verità perché nei vostri desideri più profondi, che in verità non si nominano, voi mi volete su quel muro! Io vi servo in cima a quel muro! Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà. Usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Per voi non sono altro che una barzelletta. Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco. E poi contesta il modo in cui gliela fornisco! Preferirei che mi dicesse: la ringrazio… e se ne andasse per la sua strada. Altrimenti gli suggerirei di prendere un fucile e di mettersi di sentinella. In un modo o nell'altro io me ne sbatto altamente di quelli che lei ritiene siano i suoi diritti."
Mi astengo dal giudizio ma mi piacerebbe sentire il parere dei frequentatori di questo interessante blog.
Prof. Woland

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