Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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giovedì 4 agosto 2011

Il discorso di Alfano alla Camera: i mercati, la democrazia e la Realpolitik.

Il Segretario del PdL Angelino Alfano
[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


Intervenendo alla Camera dopo il discorso del Premier Silvio Berlusconi - per un giudizio sul quale si legga  l'editoriale Le attese deluse di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera - il Segretario del PdL Angelino Alfano ha, tra l'altro, testualmente dichiarato:
"Autorevoli esponenti del Pd hanno detto che il Governo deve dimettersi perché i mercati lochiedono. Siamo sgomenti: ma da quando in qua sono i mercati a scegliere il governo o a stabilire che debbano andare a casa? E il popolo, ciascun cittadino, che ruolo ha nella vostra visione politica e del paese? Per noi i governi sono espressione della gente, del popolo che rappresentano. Per questo siamo contrari a fantomatici governi tecnici, contrari all'idea di piegare la democrazia alla tecnocrazia''.
Due brevi considerazioni su queste applaudite parole.

  1. L'Italia, aderendo all'Unione Europea, ha ceduto una "quota di sovranità". L'ovvia implicazione di questa circostanza è che non siamo completamente padroni delle nostre politiche. Dal momento che tutti i componenti della UE sono nella stessa barca il comportamento non virtuoso di uno Stato non può essere tollerato se rischia di compromettere l'intera Unione.
  2. Dire che i mercati non hanno o non debbono avere voce in capitolo sulle questioni interne di uno Stato potrebbe essere in linea di principio auspicabile ma è quanto meno un'utopia. È un po' come se l'amministratore delegato di un azienda che rischia il fallimento si lamentasse dell'ingerenza dei creditori nel destino dell'azienda.
Il solo vero problema ècosa occorre fare, responsabilmente, per evitare di "portare i libri in tribunale"? 


Quando la Grecia rischiava il default, il popolo manifestava nelle piazze contro i provvedimenti di austerity del Governo.
Bisognava forse allora prendere decisioni compatibili con il fatto che "i governi sono espressioni della gente e del popolo che rappresentano"?
Certamente no. Le priorità erano ben altre.

Chiediamo quindi con forza al Governo di prendere tutte le misure necessarie per salvare l'Italia dal fallimento e non demagogiche dichiarazioni di principio.


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