[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]
Sì, lo so, Nassim Nicholas Taleb lo ha
detto con estrema chiarezza: quando dopo aver scalato certe vette, specialmente se senza particolare merito, si incomincia a precipitare, non si è più in grado di arrestarsi. Eppure non me ne capacito.
Mi riferisco a Muʿammar Gheddafi.
Continuo a chiedermi perché non abbia provato a chiudere dignitosamente la sua straordinaria vicenda. Quando, credo soprattutto per un effetto domino, è arrivata anche in Libia la "primavera", non sarebbe stato meraviglioso se il Raʾīs avesse detto in un memorabile discorso alla nazione :
"Compatrioti, in questi decenni è stato necessario un regime che ha avuto come fine la difesa della nostra patria, dei nostri interessi economici, contro gli imperialisti americani, i colonizzatori italiani... ora la situazione è sotto controllo ed è giusto avviare una nuova fase della nostra storia. Il Paese è pronto per la democrazia. Io mi faccio garante della transizione. Affidatevi ancora una volta a me: entro sei mesi vi darò elezioni democratiche e subito dopo, in ogni caso, mi ritirerò a vita privata"
Io credo che nonostante tutto avrebbe avuto una chance per essere ricordato come un salvatore della patria.
Ecco invece che il volto di Gheddafi appare sui manifesti come quello di un outlaw nell'era dell' Old West con sotto la scritta dead or alive e l'ammontare della taglia, ecco che il Raʾīs s'appresta ad una fine ignominiosa che renderà terribilmente tragica la pagina di storia che lo riguarda e che rattrista anche noi che non l'abbiamo certo amato.
Del resto non a caso già Publilio Siro sentenziava:
Stultum facit Fortuna quem vult perdere.
Gheddafi e il viale del tramonto.