"La ragione è un'isola piccolissima nell'oceano dell'irrazionale" (Immanuel Kant)
Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!
La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".
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Il Direttore del Tempo Mario Sechi mentre intervista il Ministro Brunetta a Viterbo.
Il Direttore del Tempo Mario Sechi è tornato qualche giorno fa sull'incidente del Ministro Brunetta in quel di Viterbo, lanciandosi nella missione impossibile di sviare l'attenzione dal fattaccio - il "cretini" dato all'indirizzo di coloro che fischiavano e protestavano (qui il video) - agli aspetti sociali della libertà individuale e, udite udite, agli effetti nefasti della comunicazione via web e social network.
Ecco le argomentazioni principali attraverso le parole dello stesso Sechi:
1. I contestatori erano pochissimi: "un pugno di persone. Cinque sei, forse meno. Fino a quando il legittimo dissenso di una minoranza riunita in una piazza può prevaricare la libertà di espressione di un altro gruppo?"
2. La rete semplifica tutto e lo riduce all'evento negativo mentre invece il discorso è stato ben ampio e articolato: "Il dialogato e serrato confronto nei tre minuti e trentasette secondi di filmato che va online non c’è. Puoi fare un discorso da premio nobel dell’Economia, ma se ti scappa un «cretino!», il tuo messaggio finale diventa quello. La banalizzazione del messaggio sulla rete è micidiale."
3. I social network sono superficiali, spesso parziali e dunque pericolosi: "nei social network gli utenti pensano di vivere in una sorta di mondo dell’impunità. In tanti scrivono cose terribili, false e pensano che tutto questo sia reale, intelligente e soprattutto legale. Non solo. Quella è la verità. Questo è il destino che attende inesorabilmente anche il dibattito di Viterbo."
Sul primo punto: è del tutto evidente che in un dibattito pubblico debbano esserci delle regole di civiltà e rispetto reciproco, come Sechi auspica.
Però attenzione: non hanno nulla a che vedere coi concettidi maggioranza e minoranza evocato dal Direttore del Tempo.
Se a fischiare Brunetta fosse stato il 99,9% degli spettatori, quei due o tre soggetti che intendevano ascoltare Brunetta avrebbero avuto meno diritti solo perché erano pochissimi davanti ad una maggioranza schiacciante?
E allo stesso modo la maggioranza di contestatori, in quel caso, si sarebbe potuta sentire legittimata a contestare e vociare proprio per il fatto stesso che era maggioranza?
Il rispetto reciproco non dipende dai numeri.
Ragionare in termini numerici, tra l'altro, può portare a conseguenze paradossali: se in Italia delinque un consistente numero di politici, ad esempio, e un gruppo minoritario no, chi va considerato di più e chi sarebbe preferibile che prendesse le decisioni?!
Tornando a Viterbo, la domanda da porsi era piuttosto un'altra: perché il Ministro Brunetta provoca puntualmente questi pruriti in una parte dell'uditorio (minoritaria o maggioritaria che sia)?
Sechi dice di Brunetta: "trascinato dal carattere, reagisce abbassando il suo linguaggio a quello dell’interlocutore. Passa all’insulto." E condanna questo atteggiamento.
Ma non fa alcun cenno, nel suo editoriale, alle motivazioni dell'impopolarità - per usare un eufemismo - di Renato Brunetta. Nessun riferimento ai "poliziotti panzoni", agli "statali fannulloni", ai precari dell'"Italia peggiore", alla sinistra che deve andare "a morire ammazzata" e via discorrendo.
Peccato, perché la via del ragionamento psico-sociologico riguardo alla comunicazione - che pure Sechi ha inteso imboccare - poteva produrre riflessioni interessanti: ad esempio sugli incomprensibili motivi per cui soffiare sul fuoco dello scontro sociale e dividere costantemente l'Italia in categorie di intelligenti da un lato e cretini dall'altro porti all'esasperazione un popolo già di per sé piuttosto provato.
E invece no: le responsabilità sono evidentemente altrove.
E quello che rimarrà nella storia dell'incontro viterbese, si lamenta Sechi, è solo un episodio insignificante di un povero Ministro che infama i suoi contestatori.
Tutta colpa della rete, per il Direttore, perché è un fatto che "la diffusione del free content, del contenuto libero, del cazzeggio senza controllo di fonte e autore, sulla rete abbia distrutto il valore del sapere, dell’autorevolezza e della responsabilità".
Certo, come no: le chiacchiere informali - davanti ai focolari, nelle piazze, nei bar - in effetti si sono sempre condotte enciclopedie alla mano fino alla nascita del web...
E del resto lo sanno tutti: il pettegolezzo - con le sue semplificazioni - non è nato con l'uomo ma appunto con la rete!
Ne prendiamo atto, caro Direttore.
Come prendiamo atto che in tutto questo scenario apocalittico spalancato dalla rete e dai social network, tuttavia, una nota positiva, quasi commovente, c'è eccome nel suo astuto editoriale.
Quando parla di una sua precisa volontà:
"introdurre l’intervista-dibattito nel miglior modo possibile, cioè dando la possibilità a Brunetta di raccontare chi è e da dove viene, le sue umili origini, la Venezia delle bancarelle, una storia lontana anni luce dai ministeri, dalle auto blu, dalla casta".
Ecco qua.
In queste righe la missione impossibile si palesa in tutta la sua complessità.
Specie per chi ricorda una piccola indagine dell'espresso di un paio d'anni fa, in cui si ricostruiva la storia di un tale Renato Brunetta diventato Ministro, per nulla lontano anni luce dalle storie di casta.
In estrema sintesi: la rete è un luogo infernale e Brunetta è un piccolo angelo sceso dal cielo per sanare i guasti della Pubblica Amministrazione.
Attendiamo con ansia il prossimo pezzo sugli asini che volano.