Se il momento non fosse uno dei più tragici della nostra storia, devo dire che troverei quotidianamente decine e decine di motivi per sbellicarmi letteralmente dalle risate.
Il condottiero di questa nuova stagione del "basso impero berlusconiano", il gladiatore impavido e indomito, il cavaliere senza paura (anche se con molte macchie) è
Giuliano Ferrara, direttore del Foglio (sovvenzionato dallo Stato fin dalla nascita grazie all'invenzione da parte del duo Pera-Boato di un inutile
movimento "Convenzione per la giustizia"), ideatore e conduttore televisivo, negli anni '90, di un capolavoro della Tv spazzatura quali l'Istruttoria (ve lo ricordate lo spot del programma con Ferrara che veniva fuori da un bidone dell'immondizia fra lische di pesce e ossi spolpati?) e da ultimo, dopo scontate apparizioni politiche, fervente sostenitore del cattolicesimo conservatore del cosiddetto stampo
teocon (anche se Ferrara si è ribattezzato personalmente
ateocon).
La difesa d'ufficio nel momento della discesa agli Inferi di Berlusconi è affidata a quest'uomo, il paladino delle questioni più controverse (staminali, embrioni, ecc.), furbescamente benpensante all'occorrenza e sornionamente malpensante alla bisogna; al tempo stesso argutamente sardonico e falsamente conciliante. Un Berlusconi intellettualoide, insomma.
Ebbene, nel restyling del berlusconismo della prima ora (che vede dispiegare la potenza retorica di antichi e sopiti maestri, come Vittorio Sgarbi, neoassunto dalla Rai di Menzognini), il pachiderma (come lui stesso si definisce) diventa stratega principale del Piano di Rinascita (ogni riferimento alla P2 è puramente voluto), editorialista de Il Giornale (orfano degli artigli di Feltri e in mano allo spuntato Sallusti), esecutore epistolare (vedi lettera al Corriere della Sera) del rilancio economico-mediatico di un Silvio sempre più desnudo.
Nell'editoriale dal titolo "
In mutande ma vivi", in cui chiama a raccolta "i suoi" ad una manifestazione contro gli azionisti puritani, dopo aver deriso e sbeffeggiato gli illustri relatori del Palasharp e dato dei "virtuosi talebani" alla "minoranza etica" di quanti partecipano allo sdegno corale per gli avvenimenti che vedono coinvolto non solo Silvio Berlusconi, ma l'intero sistema sociale italiano (che, in assoluto, è la cosa più deprimente di tutte), Ferrara si lancia in una citazione shakespeariana, il discusso sonetto 121. Questo l'inglese dei primi versi:
'Tis better to be vile than vile esteemed,
When not to be receives reproach of being,
And the just pleasure lost which is so deemed
Not by our feeling but by others' seeing;
di cui Ferrara dà la seguente traduzione (di sua penna?): "E' meglio esser vili che esser ritenuti tali, / perché il non esserlo produce lo stesso quell'accusa; / e si perde un lecito piacere non perché sia vile, / ma perché da altri è così pensato."
Badate come è potente la falsificazione del sonetto così tradotto: il senso è "poiché tanto si viene accusati ingiustamente, meglio essere vili davvero, almeno non si perde il piacere di fare ciò che non è vile anche se tale viene considerato dagli altri".
Che tradotto ulteriormente porta ad un concetto estremo del tipo: "se Berlusconi ha goduto di piaceri che solo gli altri vedono scandalosi tanto meglio per lui".
Ecco invece la traduzione corretta del sonetto: "è meglio esser vili che esser ritenuti tali, quando si viene accusati di esserlo non essendolo e dunque si è perso un piacere giusto perché è giudicato così (cioè vile) non dal nostro sentire, ma dagli occhi degli altri."
Il senso sta dunque tutto nel paradosso: "quando non si è vili ma si viene accusati di esserlo, allora tanto vale esserlo, almeno non perdo un piacere che gli altri vedono vili ma io no".
Paradosso perché la condizione di partenza è il non essere vili (quindi non si può non esserlo) e, se non si è vili, non lo è neppure il piacere!
Dopo aver rammentato che nel caso di Berlusconi non si tratta di piaceri, ma di reati, è necessario ribadire con fermezza che il tentativo, scomposto e pseudo-intellettuale, che Ferrara sta mettendo in atto per convincere il (suo) pubblico che qualsiasi cosa abbia fatto Berlusconi "è vita", mentre chi ne giudica i comportamenti soffre di "una mancanza di vita inescusabile", è non solo deplorevole, ma vergognoso.
Ferrara, con il suo operato, si sta rendendo complice del degrado morale di un paese che da almeno 70 anni (DC prima, Craxi&Co. poi, infine Berlusconi, in una climax indegna) continua ad affondare progressivamente nel pantano della politica più squallida, di cui l'elefantino è spesso stato e torna oggi ad essere portavoce indiretto e difensore pubblico: la politica squallida e malata del clientelismo, dei giochi di palazzo, degli interessi privati su quelli pubblici, delle finte par condicio televisive che mirano a manipolare e a lobotomizzare, degli appalti truccati, delle collusioni mafiose, degli intrighi massonici, della prostituzione femminile trasformata in sistema stile ufficio di collocamento (politico e/o televisivo).
Questa è l'Italia che Ferrara vuole per gli italiani, arrivando ad accusare chi questa Italia non la vuole di fare "un uso smodato della morale"!
Lascio parlare Oscar Wilde, strenuo difensore della libertà dei costumi:
"We are all in the gutter, but some of us are looking at the stars".
"Siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle".
Chi stia guardando le stelle e chi invece sta grufolando nel fango, tra Eco e Ferrara, tra Zagrebelsky e Sallusti, tra Saviano e Sgarbi, credo sia piuttosto evidente.
In ogni caso,
l'appuntamento per i ferrariani convinti (o come ha scritto
Sallusti "per il popolo degli uomini liberi") è a Milano, sabato 12 febbraio, ore 10.30.
Al Teatro Dal Verme.
Complimenti: nome più fangoso, in effetti, non si poteva trovare.
Le mutande di Giuliano Ferrara & Co.