Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 23 febbraio 2011

Dal New York Times. Firmato: Roger Cohen.

Sangue sulla Libia.


La questione libica è esplosa in tutta la sua drammaticità. 
In cerca di opinioni autorevoli riguardo la vicenda, mi sono imbattuto oggi in un interessante articolo di un paio di giorni fa, apparso sull'edizione online del New York Times, a firma del noto giornalista Roger Cohen.
L'articolo fa riflettere: se da un lato infatti offre uno spaccato assai indicativo dell'immagine dell'Italia all'estero - e soprattutto dell'attuale governo italiano - dall'altro pone anche questioni molto rilevanti riguardo l'Unione Europea e la sua politica estera, con particolare riferimento alla problematica della "primavera araba".
Ho deciso così di tradurre l'articolo e di offrirlo in questo spazio, sperando di essere riuscito a rendere decentemente l'intensità originaria (duro mestiere quello del traduttore!). 
La parola a Roger Cohen.


 LA DANZATRICE ARABA DI BERLUSCONI
E' indicativo della misera risposta europea alla primavera araba che il personale contributo del Primo Ministro Silvio Berlusconi alle questioni nordafricane – la sua presunta relazione con una danzatrice marocchina diciassettenne – prenda solo il premio per la performance più abietta. 
Il suo Ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ci era andato molto lontano con la sua risposta alla coraggiosa sollevazione del popolo tunisino che ha cacciato il longevo dittatore Zine el-Abidine Ben Ali: “La priorità numero uno è la deterrenza del fondamentalismo islamico e delle cellule terroristiche”. 
Cose nobili di ogni sorta si possono auspicare per gli Arabi al di là del Mediterraneo - ed anzi sono state auspicate, a seguito della fatua pensata di Nicolas Sarkozy, i 43 membri dell’Unione per il Mediterraneo – ma naturalmente la democrazia e la libertà non sono fra quelle. 
L’Unione, di stanza a Barcellona - che dovrebbe essere smantellata all’istante - ha preferito concentrarsi su problemi quali il “disinquinamento del Mediterraneo”. Che, per gli Europei, ha generalmente significato tenere lontani gli Arabi. 
Non c’è da meravigliarsi che Orhan Pamuk, lo scrittore turco vincitore del Premio Nobel, abbia scritto lo scorso anno un saggio intitolato “Europa: il sogno che svanisce”. Qui constatava l’intima, meschina virata, in direzione opposta all'immigrazione, del continente europeo, che una volta aveva rappresentato per lui l’apice e molte delle aspirazioni come turco. Tutto questo era stato scritto prima dei più recenti e gretti atteggiamenti dell'Europa. 
A suo modo, l’attempato multimilionario Berlusconi - con i suoi capelli troppo neri , il suo adulante entourage , il suo controllo dei media, le sue ville private e il suo svilimento dello stato italiano – ha scimmiottato i modi di quei despoti arabi che i popoli dell’Egitto, della Libia, del Bahrein hanno cacciato ribellandosi. Come loro, egli ha confuso se stesso con la nazione, estasiato dal culto della sua personalità. 
O invece - poco importa quali - questi dittatori arabi e i loro compagni d’affari hanno scimmiottato Berlusconi, imitando il peggio dell’Occidente che non offriva nulla in termini di apertura politica, creando un simulacro senza valore della raffinatezza dell’Europa danarosa, mentre i loro popoli languivano senza i più elementari diritti affermati dalla stessa Unione Europea. 
Griffes prive della libertà di parola o dello Stato di Diritto costituiscono una forma virulenta di barbarie contemporanea. 
Berlusconi incarna una lunga connivenza trans-mediterranea con la sottomissione araba, un matrimonio di convenienza che ha condannato gli arabi ad essere supplici (danzatori marocchini buoni per titillare). Uomini e donne in tutto il Nord Africa sono scesi in piazza per rovesciare questo status quo che nega la dignità. Vogliono stare su con le proprie gambe, piuttosto che continuare per sempre ad essere banditi come popoli in declino. 
Un giudice, Cristina Di Censo, ha citato in giudizio Berlusconi, 74 anni, per aver pagato per fare sesso con una ragazza di 17 anni, Karima el-Mahroug, che ha negato di aver avuto rapporti sessuali con lui. La forza del popolo, secondo lo stile italiano, ha portato un milione di manifestanti nelle strade il 13 febbraio scorso. 
Direi che questa particolare soap italiana è andata avanti abbastanza: un leader più consumato dalla sua virilità e da donne arabe con 1/4 della sua età piuttosto che dal governare non serve bene l'Italia.
Quelle di Berlusconi tuttavia non sono le prime dimissioni da chiedere, in Europa. Il ministro degli Esteri francese, Michèle Alliot-Marie, ha accumulato gaffe su gaffe da quando l'insurrezione tunisina cominciò, 17 dicembre. 
Non è sufficiente che abbia offerto il "know-how" delle forze di sicurezza francese a Ben Ali. Non è sufficiente che abbia accettato un passaggio su un jet privato da un partner di business Ben Ali, durante una vacanza in Tunisia nel pieno delle proteste. Non è sufficiente che i suoi genitori abbiano firmato un contratto relativo a delle proprietà con questo intimo di Ben Ali. Non è sufficiente che fosse al telefono con Ben Ali, sebbene avesse in precedenza negato ogni "contatto privilegiato". 
Invece è sufficiente eccome, Signora Ministro. 
È vero, il primo ministro François Fillon all’epoca accettava voli ed alloggio da Hosni Mubarak. Ma l'Egitto allora non era ancora insorto, e il caso di Fillon è di tutto rispetto, a differenza della commedia degli errori di Alliot-Marie da quando è diventata ministro degli Esteri. 
L'Unione europea deve ripensare le relazioni con il mondo musulmano alle sue porte, a cominciare dall’accettare la Turchia come membro, cosa che avrebbe creato i presupposti perché il Continente iniziasse ad uscire dalla meschinità che Pamuk descrive. Non sono sicuro che la Turchia, in pieno boom, sia ancora interessata; tenete qualcuno alla porta abbastanza a lungo e quella persona se ne andrà. Ma una Unione con la Turchia al suo interno non avrebbe risposto al risveglio arabo con un imbarazzo così traballante. 
Un nuovo patto europeo con i vicini arabi che vanno verso la democratizzazione è  urgentemente richiesto. Cancellare i fondi per i bei progetti ambientali e quelli relativi agli stipendi dei burocrati di Barcellona. Mettere il denaro europeo sulla formazione di rette società democratiche al di là del mare. Questo sarà un progetto generazionale, ma è l'unico modo per fermare il disperato flusso umano verso la Spagna meridionale e l'Italia. 
La prima grande sfida internazionale per l'Europa del post-Lisbona ha rivelato che il trattato del 2009 non ha fatto nulla per cambiare l'approccio da "minimo comune denominatore" che rende l'Unione europea un pigmeo della politica estera. Immagino che questo sia il modo in cui la vogliono gli stati-nazione della mediocre potenza europea.  Un'acclamazione è d'obbligo: per il ministro danese Lars Lokke Rasmussen, il primo a dire: "Mubarak è storia. Mubarak deve dimettersi". Paragonate queste frasi esplicative con le dichiarazioni senza senso di Bruxelles. I danesi, come la seconda guerra mondiale ha mostrato, a volte si distaccano dalla massa e fanno bene.
[Roger Cohen, New York Times: qui il testo originale.] 


Mi piacerebbe sapere le vostre riflessioni al riguardo.

[Aggiornamento del 27 febbraio: il Ministro francese Alliot-Marie si è dimessa.]


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