Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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martedì 22 febbraio 2011

Diplomazia.



Ricorda oggi Metilparaben che il Ministro degli Esteri Frattini, riguardo all'Afghanistan, ebbe a dichiarare che "la democrazia si esporta con tutti i mezzi necessari", mentre in questi giorni, riguardo alla rivolta egiziana ha affermato "l'Europa non deve esportare la democrazia".

Ora, capisco che i nostri accordi economici con gli afghani sono ben diversi da quelli con la Libia, ma santo Dio!

Dopo aver assistito all'incredibile zelo del nostro Presidente del Consiglio nel coordinare azioni e parole (oltre ad un voto parlamentare) nel disperato tentativo di evitare un incidente diplomatico con l'Egitto per la presunta nipote di Mubarak... 

... no, dico, dopo tutto questo, è troppo chiedere che le parole e le (non) azioni del nostro Premier e del nostro Ministro degli Esteri mostrino una qualche velata preoccupazione, sia pur minima, di non scatenare un gigantesco incidente diplomatico?

Non fraintendetemi: non con la Libia (quello sta già accadendo).

Con tutto il resto del mondo, voglio dire.


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