Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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sabato 22 ottobre 2011

La clausola 126.



[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Nel mio ultimo post ho parlato della teoria del dottor Atul Gawande, secondo la quale si possono ottenere straordinari risultati ed evitare devastanti errori affidandosi alla procedura della checklist.

Ad ispirare Gawande nell'elaborazione di questa teoria era stata una strategia molto interessante.

Vediamo in cosa consiste.

David Lee Roth -  famosa rockstar dei Van Halen - racconta nella sua autobiografia Crazy from the Heat (1997) che, nonostante venisse puntualmente consegnata agli organizzatori dei concerti una precisa checklist, era sempre più difficile che i contratti fossero rigorosamente rispettati. Ciò causava spesso incresciosi incidenti durante gli spettacoli.

Fu così che David ebbe l'idea di introdurre nella checklist la clausola 126: la cosiddetta No brown M&M’s clause".

In sostanza la Band richiedeva che nel backstage fosse sempre presente una ciotola di confetti di M&M's da cui dovevano essere rimossi appunto "all the brown candies, tutti quelli di colore marrone.

Lo stratagemma funzionava. Quando arrivava nel backstage, la band controllava la ciotola: se per caso vi figurava anche un solo confetto marrone allora scattava un controllo accurato dell'intero allestimento. 
Guaranteed you'd run into a problem!
Sicuramente, dice David Lee Roth nell'autobiografia, veniva fuori un errore tecnico: se infatti gli organizzatori avevano trascurato quella semplicissima richiesta, molto probabilmente avevano trascurato anche qualche particolare decisamente più serio.

A questo punto vorrei chiedervi: non vi sembra che nella ciotola del nostro Premier di brown M&M's candies, di confetti M&M's marrone ne siano stati rinvenuti a sufficienza? 


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