Gli assenti al voto, cioè.
Tra cui figurava, guarda caso, anche Tremonti (e il gesto del Premier sembrerebbe proprio significare "bravi, bravi... E ci sei anche tu su questa lista...").
Nella notte si è appreso che Berlusconi ha deciso di chiedere la fiducia.
Oltre alle ovvie considerazioni sui vari assenti, dall'asse Bossi-Tremonti ai malpancisti, dai frondisti ai 'responsabili', dagli scajoliani agli scilipotiani, quello che più mi interesserebbe sapere, in questo momento, è se Silvio Berlusconi riesce a compiere, mentalmente, un semplice passaggio logico.
Un politico che si vende non è un politico.
E' un affarista, un faccendiere.
Un broker, atipico, deviato, che ha se stesso come cliente di riferimento.
Se è vero che una buona parte di quei parlamentari che fino a ieri ha tenuto uniti i cocci già rotti di una maggioranza in decomposizione ha ricevuto denaro (o favori importanti) per compiere il cosiddetto salto della quaglia, va da sé che quegli individui, il 14 dicembre 2010, si sono iscritti di diritto alla categoria degli affaristi, dei faccendieri, dei broker deviati. E come tali vanno considerati.
Del resto è quello l'ambiente in cui ha fatto fortuna Berlusconi.
L'ambiente che gli ha dato i natali e in cui ha saputo dare il meglio di sé.
L'ambiente del compromesso, del particolarismo, dell'interesse personale, del fine che giustifica i mezzi.
L'ambiente dell'uno per uno e tutti per uno.
Mi chiedo se, essendo da sempre parte integrante di quel mondo, Berlusconi abbia in queste ore la lucidità per rendersi conto che ciò che oggi lo sta lentamente distruggendo politicamente è proprio l'anima di quel mondo che lui stesso ha voluto eleggere a sistema in Parlamento.
La prima tappa di questo disegno fu a suo tempo realizzare un partito azienda di Yes Man, nella prima stagione della sua fortunata carriera politica.
Dopo questa prima fase seguì quella della colonizzazione del Parlamento, riempito di avvocati difensori e scrupolosi legulei, in grado di organizzare al meglio i processi di un plurindagato e contestualmente occuparsi delle leggi ad personam per difendere i suoi interessi personali.
Infine - stando sempre a quanto si dice - è stata la volta dell'adozione sistematica della tecnica della compravendita: quella volta a raggranellare voti mettendo mano al portafoglio personale e attingendo alla rete di scambisti di favori, quanto mai prospera ed endemica nel nostro disgraziato paese.
Ve lo dico francamente: non so se augurare al Premier di avere la lucidità e la consapevolezza di scorgere nella filigrana della fine che si avvicina la sua immagine riflessa, la sua stessa firma.
Quello che so è che la fine di quel che sta accadendo sarà il naturale contrappasso di una filosofia politica sciagurata e nefasta.
E dovrà segnare contestualmente - ripeto: dovrà - la fine dell'avventura del modello imprenditoriale nella politica italiana.
Perché la politica - almeno nelle forme di quella che noi chiamiamo democrazia - è esattamente il contrario di quanto incarnato in questo ventennio dal venditore di sogni Silvio Berlusconi.
È condivisione e partecipazione popolare, ma non priva di contenuti.
È il pensiero di molti tradotto in azioni, non quello di uno venduto ai più.
È la sintesi di un parlamento libero costituito da donne e uomini liberi, non un parlamento sintetico, artificialmente e artificiosamente schiavo del volere e degli interessi del singolo potente di turno.
Se Berlusconi avrà questa consapevolezza, forse la sua dipartita politica sarà umanamente ancora più triste. Ed è per questo che, come dicevo, in fondo in fondo - senza rancore - gli auguro di non averla.
Quel che è certo è che una simile consapevolezza deve averla l'Italia.
Chi si è illuso venti anni fa; chi ancora oggi tentenna; chi mostra di non aver ancora realizzato la gravità di quanto è accaduto; chi ha combattuto questo sistema senza però costruirne uno realmente alternativo (anzi magari tentando di ricalcare il modello assolutistico incarnato dal Commenda di Arcore perché sembrava elettoralmente vincente).
Tutti, insomma. Nessuno escluso.
Questo sarà essenziale.
Condizione necessaria, insomma, anche se non sufficiente.
Se davvero, e dico davvero, abbiamo l'intenzione di ricominciare daccapo.
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