Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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martedì 15 marzo 2011

L'uomo moderno e la scelta del referente.



[Il Prof. Woland per La Città Invisibile]

Ieri sera, su Rai Uno, è andata in onda la prima puntata dell’attesa e discussa trasmissione Qui Radio Londra di Giuliano Ferrara.

In apertura si sono udite le prime note della quinta sinfonia di Beethoven, che annunciavano, durante la seconda guerra mondiale, l’inizio della storica trasmissione cui Ferrara si richiama - almeno nel titolo - e che dovrebbero essere di buon auspicio perché evocano, nell’alfabeto Morse, la lettera V di vittoria.

Abbiamo assistito ad un Ferrara insolitamente emozionato, che anziché entrare nell’agone politico, come aveva preannunciato, ha scelto di dedicare il suo esordio all’incubo nucleare, conseguenza del drammatico sisma e dello tsunami che hanno colpito il Giappone.

In estrema sintesi il discorso dell’elefantino può riassumersi così: “non facciamoci prendere dall’emotività ed aspettiamo gli eventi: se non ci saranno conseguenze drammatiche allora potremo dire che, se ha resistito ad una catastrofe così grande, il sistema (centrale nucleare) si può considerare affidabile. In caso contrario occorrerà riesaminare con calma la scelta del nucleare”.

Tralasciando il fatto che in questi termini l’affermazione sembrerebbe ascrivibile più a Jacques de La Palice che a Giuliano Ferrara, possiamo prendere spunto da queste parole per riflettere su come affrontare l’annosa polemica nucleare sì, nucleare no, soprattutto in vista del referendum che si dovrà votare a breve.

Un aforisma del grande psicologo William James (fratello del celebre scrittore Henry) recita: “A great many people think they are thinking when they are merely rearranging their prejudices” che potremmo tradurre “molte persone credono di pensare ma in realtà stanno solo riorganizzando i loro pregiudizi”.

Viviamo in un mondo straordinariamente complesso: una buona parte dello scibile risulta inevitabilmente preclusa alla maggior parte di noi.
Questo implica che l’uomo contemporaneo, in svariate questioni, deve più che mai affidarsi al parere di un “referente. In ordine decrescente: uno scienziato, un esperto, un intellettuale, un politico (se ve ne sono ancora di affidabili!)...
Dobbiamo cioè prendere atto che su molti argomenti può essere rischioso decidere ricorrendo al nostro buon senso.

Naturalmente, poiché gli interessi in gioco sono spesso enormi, la scelta del referente è particolarmente difficile. 
Ma sarà già un buon inizio se prevarrà la consapevolezza della necessità di tale scelta.

Il nucleare è un tipico esempio.

Come posso chiedere al cittadino se lo stato deve o no costruire centrali nucleari?!

Quando nel 1987 si votò il referendum sul nucleare io, laureato in fisica teorica, non ero assolutamente in grado di rispondere autonomamente ai quesiti referendari.
Non avevo, infatti, alcuna idea di quali fossero, dal punto di vista tecnico, i rischi e i pericoli di una centrale nucleare. 

Mi affidai così ad un referente: il Prof. Edoardo Amaldi, grande esperto di fisica nucleare (fu uno dei ragazzi di Via Panisperna il famoso gruppo guidato da Enrico Fermi, i cui studi porteranno alla realizzazione del primo reattore nucleare) e fondatore del CERN.

Insomma, la democrazia è una gran bella cosa ma dubito che si possa far ricorso alla decisione del popolo su taluni delicatissimi argomenti di natura tecnica o scientifica.

Un esempio delle possibili schizofrenie che possono derivare dal voto popolare in questi casi è il referendum consultivo che si è appena tenuto in Svizzera.

Il 51,2% dei votanti è stato a favore della costruzione di nuova centrale nucleare ma contemporaneamente il 79,7% dei votanti ha detto no alla costruzione del deposito di scorie nucleari a Wellenberg!

Ciò che mi sento di aggiungere, in ogni caso, è che taluni progetti (centrali nucleari, ponte di Messina ecc.), per dirla con Franco Cordero, “sono un lusso che possono permettersi paesi dalle midolla politiche sane”.

Non mi sembra sia il nostro caso.


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