Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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martedì 12 aprile 2011

Il deputato indonesiano e la la linea di confine.

Il deputato indonesiano: immagini hard sul suo e-book in Parlamento.

Partito per la Giustizia e la Prosperità.

No: non è il nuovo nome del Popolo della Libertà per le prossime elezioni. Anche se a ben vedere, sembrerebbe perfetto, no? 

E' il nome del partito del deputato indonesiano Arifinto, sorpreso a guardare foto porno su un e-book durante una seduta in Parlamento.

Il deputato ha raccontato forse una barzelletta per minimizzare l'accaduto? 
Ha gridato al falso moralismo di quanti si sono scandalizzati? 

Niente di tutto questo.

Il deputato indonesiano, durante una conferenza stampa trasmessa in tv, ha dichiarato
"Con piena cognizione di causa e senza essere stato spinto da alcuno, per il bene e l'onore del mio partito, presento le mie immediate dimissioni".
E si è dimesso.

Non senza aver aggiunto: "Cercherò di migliorarmi recitando il Corano, domanderò consigli al clero, darò elemosina ai poveri e farò la carità per raggiungere la gloria quaggiù e nell'aldilà".

Esattamente come da noi, vero?

Piuttosto, a proposito di clero, non è forse il caso di chiedersi che fine abbia fatto la nostra amata Chiesa, in tutta questa squallida vicenda di palazzo fra escort e prostituzione minorile?

Dopo qualche blando richiamino buttato qua e là  - per la serie "qualcosina diciamola, non possiamo far vedere che tacciamo del tutto" - il silenzio più totale.

Silenzio colpevole, voglio dirlo senza mezzi termini.

Quando chi si erge quotidianamente a maestro della morale e della rettitudine tace di fronte al più colossale scandalo della nostra repubblica, ebbene la perdita di credibilità non può che essere totale.

Altro che relativismo etico! Chi oggi potrà continuare a considerare coerente il magistero della Chiesa?

Questa situazione, diciamocelo, ha oramai superato di molto il limite del ridicolo.

Truppe cammellate di giornalisti (i Minzolini, i Ferrara, gli Sgarbi, i Liguori, i Sallusti, i Belpietro, i Feltri), oltre ad un intero ramo del Parlamento italiano, che tentano con ogni mezzo di convincere chi si scandalizza davanti al Rubygate di essere un laido guardone, preda del moralismo più abietto.

Guardate che la situazione è ben più grave di quello che sembra.

C'è una linea di confine nemmeno tanto sottile tra la libertà sessuale e la dissolutezza. 

E c'è, come dire, una zona "di comfort" piuttosto ampia fra le due ragioni, nonostante stiano tentando di dimostrare che libertà e dissolutezza sono la stessa cosa.
La domanda è: cosa accadrebbe ai costumi e alla morale di questo paese se davvero riuscissero a cancellare quella linea di confine con un colpo di spugna, giusto per salvare i destini del più licenzioso dei Premier?

Come avvertiva Arturo Graf agli inizi del secolo scorso: 
In morale son cose di capitale importanza anche le sfumature (Ecce Homo, 1908)

Per non parlare della legalità, che in questo paese sembra oramai diventata un anacronistico quanto pericoloso optional.

C'è chi sostiene che non sia vero che l'Italia è oggi spaccata in due (vd. Piero Ostellino, un paio di giorni fa).

La questione è invece ben più che un dato di fatto.

Ci sono proprio due macro Italie (e all'interno di queste molte altre Italie, superbamente fotografate da Ilvo Diamanti in un articolo di fine anno che voglio qui ricordare).

Non parlo della politica, si badi bene, parlo delle persone, di noi italiani.

Da una parte c'è l'Italia del padrone e dei servi; del malaffare e dell'egoismo; del tanto peggio, tanto meglio; del do ut des; del merito per pochi, cioè i più furbi, i più abili a scansare le leggi, i più "ammanicati"; l'Italia del "tanto sono tutti uguali"; della busta paga come metro di paragone del benessere (costi quel che costi); l'Italia per cui "l'importante è sopravvivere qui ed ora: il futuro non siamo noi"; l'Italia del "dagli al diverso"; l'Italia della macchina del fango.

E c'è un'Italia diversa: quella della meritocrazia; del rispetto per il prossimo; della solidarietà e dell'accoglienza; l'Italia della legalità sopra ogni cosa; l'Italia del senso del dovere e delle istituzioni; l'Italia dell'essere prima dell'apparire; l'Italia del valore anziché del prezzo.

Chi si schieri con chi, in questo periodo storico, è evidente a chiunque conservi ancora un briciolo di raziocinio.

E sia ben chiaro: tra queste due schiere di persone, io continuerò sempre a pensare che i primi siano quanto di più pernicioso possa esserci per l'intero genere umano, e i secondi, al contrario, l'unica speranza che abbiamo per ridare un senso alla collettività che formiamo ogni giorno stando insieme.

Tra l'accondiscendenza o peggio l'ammirazione per il magheggio e l'irreprensibilità del rigore morale, continuerò sempre a pensare - alla faccia di chi oggi vuole rifondare la morale per salvarsi le chiappe - che coltivare il rigore morale sia l'unica via che abbiamo per uscire vivi - malconci, ovviamente, ma vivi - da questo indecente pantano in cui molti si divertono a grufolare.

Perché la mia Italia è quella di tutti coloro che la pensano come l'Ahab di Paulo Coehlo:
Si racconta che, dopo aver pacificato la città, allontanato coloro che rifiutavano il nuovo ordine modernizzato, l’agricoltura e il commercio di Viscos, una sera Ahab radunò i suoi amici per una cena, cucinando per loro un succulento pezzo di carne. A un tratto, si accorse che il sale era finito.
Allora chiamò suo figlio:
- Va in paese e compra del sale. Ma cerca di pagarlo un prezzo equo: né di più né di meno.
Il figlio fu sorpreso da quelle parole.
- Capisco che non devo pagarlo più caro, padre. Ma, potendo contrattare, perché non risparmiare del denaro?
- Se qualcuno vende il sale sotto costo, di sicuro ha disperatamente bisogno di soldi. E se qualcuno approfitta della situazione, si dimostra irrispettoso del sudore e della fatica di un uomo che ha lavorato per produrre qualcosa.
- Ma non è per così poco che il paese verrà distrutto.
- Al principio del mondo, anche l’ingiustizia era molto esigua. Ma coloro che vennero dopo finirono per aggiungervene quantità minuscole, pensando sempre che non aveva molta importanza.
Ecco, vedete dove siamo arrivati oggi.
(da Il Diavolo e la Signorina Prym)

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