Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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martedì 26 aprile 2011

Il "non abbiamo risposte" del papa alle domande della bambina giapponese.



[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Nel suo recente post Chissà come si dice in giapponese, il blogger Malvino critica il papa per il suo non abbiamo risposte” riferito alla domanda di un bambina giapponese di sette anni che gli chiedeva, in relazione alla tragedia di Fukushima, il perché di tanta sofferenza (qui il video).

Le ragioni di una simile critica ben si comprendono e, come ho osservato in altre circostanze, personalmente non ho alcuna simpatia per un pontefice che rispolvera, in nome della tradizione, il camauro e la mozzetta (entrambi con tanto di ermellino, con buona pace degli animalisti) che ricordano il papa Giulio II - il papa guerriero - nel ritratto di Raffaello.

E tuttavia devo dire che non mi dispiace affatto se, per una volta, un papa rammenta il monito di Ludwig Wittgenstein
"Whereof one cannot speak, thereof one must be silent";
ovvero "su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere".

Anzi: c’è solo da augurarsi che lo faccia più spesso.


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