Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 25 aprile 2011

La fragilità del bene e l'umiltà del male.



[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

In questi ultimi giorni due nomi sono apparsi frequentemente sulle pagine dei giornali: quello di Martha Craven Nussbaum e quello di Franco Cassano.
La prima, una filosofa, insegna diritto ed etica presso la Chigago University. Il secondo, sociologo, insegna Sociologia della conoscenza presso l’Università di Bari.

La Nussbaum, all’attenzione della cronaca per l’uscita in Italia del libro Non per profitto, è autrice di un notissimo saggio dal titolo La fragilità del bene, che le ha dato fama internazionale.
Cassano ha invece appena pubblicato L’umiltà del male.

Mi pare interessante accostare le tesi principali delle due opere.

La Nussbaum, sulla base di un’approfondita conoscenza della cultura classica greca, sostiene che valori ed ideali - in una parola la virtù - devono venire a patti con la “fortuna”, quindi con qualcosa che non dipende da noi: tutto ciò che l’uomo può fare è tentare di limitare i rischi della “fortuna”.

Cassano, da parte sua, ci spiega che il male è per sua natura avvantaggiato in partenza, proprio “grazie alla sua antica confidenza con la fragilità dell’uomo”.

Ecco perché tra un modello nobile e inarrivabile ed uno meno nobile che ci sembra più raggiungibile, più alla nostra portata, siamo spesso portati a scegliere il secondo.

L’uomo è dunque senza speranza?

Proprio nel citato Non per profitto c’è una possibile ricetta per la salvezza, non solo dell’individuo, ma addirittura delle democrazie moderne
.
La salvezza sta nel non trascurare gli studi umanistici: la letteratura, la filosofia e l’arte possono infatti contribuire alla crescita di quelle qualità intellettuali e morali indispensabili per conoscere, socraticamente, se stessi e gli altri, non rinunciare alla critica delle autorità e delle tradizioni, sottoporre al vaglio del ragionamento le teorie e soprattutto sviluppare quella capacità nota come positional thinking che è la capacità di pensare dal punto di vista degli altri
Capacità fondamentale in un’era globalizzata come la nostra per considerare ‘gli altri’ - gli stranieri soprattutto - non come una minaccia ma come esseri umani uguali a noi, coi loro sogni, aspirazioni e obiettivi.


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