Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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mercoledì 6 aprile 2011

Responsibility to protect: il nodo non sciolto.



[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]


La risoluzione n° 1973 dell’ONU che autorizza “gli stati membri a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili in Libia (articolo 4)” è stata presa in nome del cosiddetto principio Responsibility to Protect, responsabilità di proteggere.
Vediamo di capire come è nato questo nuovo principio, detto anche R2P.

Il summit del gruppo dei 77 (G77) - organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite - riunito nell’aprile del 2000 all’Avana - aveva recisamente riaffermato che la globalizzazione non deve essere usata contro i princìpi della sovranità e della non ingerenza e aveva rifiutato il diritto di intervento umanitario.*

Venne allora costituita una commissione - la ICISS - il cui scopo era principalmente quello di rispondere alla domanda posta dal Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan: "Se l'intervento umanitario è davvero un attacco inaccettabile alla sovranità, come dovremmo rispondere al Ruanda, a Srebrenica, a grandi e sistematiche violazioni dei diritti umani che offendono ogni regola della nostra comune umanità?".

La commissione lavora per un anno e presenta il suo rapporto finale il 30 settembre del 2001: pochi giorni dopo il tragico attentato terroristico alle torri gemelle. 
Benché si dichiarasse esplicitamente il contrario, c’è da ritenere che il terribile evento abbia invece influenzato la conclusione dei lavori. 
In estrema sintesi, l’ICISS afferma che “la sovranità è responsabilità e gli stati devono intervenire nei paesi che non possono o non vogliono esercitarla” e raccomanda al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di approvare una risoluzione che accolga questa teoria.
Il principio - sia pure tra critiche e inviti alla cautela - si afferma.

Ma certamente il nodo non si è sciolto.

Molti infatti sostengono** che R2P sia semplicemente un escamotage per far rientrare dalla finestra quel diritto di ingerenza che era stato cacciato dalla porta. 
Non a caso, nel 2008, il presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Miguel d’Escoto avverte che è necessario fare in modo che la Responsabilità di Proteggere "non venga interpretata o usata, come spesso accaduto in passato, come un diritto di ingerenza".

Ma dal punto di vista pratico, questo monito come si traduce

Insomma è lecito intervenire oppure no? 

Sembra proprio che ci si sia avvitati in un terribile guazzabuglio. 

E a questo punto, credo sarebbe davvero il caso di aprire un ampio dibattito al riguardo.
_________________________________________________________

*Art.49. We reaffirm that every State has the inalienable right to choose political, economic, social and cultural systems of its own, without interference in any form by other States. 
Riaffermiamo che ogni Stato ha il diritto inalienabile di scegliere i sistemi politici, economici, sociali e culturali propri, senza interferenze in qualsiasi forma di altri Stati.
Art.54 We reject the so-called “right” of humanitarian intervention, which has no legal basis in the United Nations Charter or in the general principles of international law.
Noi rifiutiamo il cosiddetto "diritto" di intervento umanitario, che non ha fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite o nei principi generali del diritto internazionale.
**Jean Bricmont, autore de Imperialisme humanitaire. Droits de l’homme, droit d’ingérence, droit du plus fort? (Editions Aden, 2005) ha osservato:«La "responsabilità di proteggere" è una sorta di astuzia giuridica che tenta di inserire il diritto di ingerenza nel diritto internazionale, mentre i principi del diritto internazionale respingono con fermezza le interferenze»


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Commenti (6)

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Caro Prof Woland,
R2P. Si tratta comunque di guerra. Guerra usata come un ingrediente indispensabile allo svolgersi della storia che, seguendo la "moda dell'etica", aggredisce, distrugge, modifica, risana, salva.
A tal proposito vorrei ricordarle un pensiero espreso da J. Hillman nel capitolo conclusivo di "Un terribile amore per la guerra".
<<Non esiste una soluzione pratica alla guerra perchè la guerra non è un problema risolvibile con la mente pratica, la quale è più attrezzata per la sua conduzione che per la sua elusione o conclusione. La guerra appartiene alla nostra anima come verità archetipica del cosmo. E' un'opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere.
segue
Possiamo aprire gli occhi su questa terribile verità e, prendendone coscienza, dedicare tutta la nostra appassionata intensità a minare la messa in atto della guerra, forti del coraggio che la cultura possiede, anche nei secoli bui, di continuare a cantare mentre resiste alla guerra. Possiamo comprenderla meglio, differirla più a lungo, lavorare per sottrarla via via al sostegno di una religione ipocrita. Ma la guerra in quanto tale rimarrà finché gli dèi stessi non se ne andranno.>>
LISA
1 risposta · attivo 730 settimane fa
Cara Lisa,
grazie per il tuo contributo: puntuale come sempre. Le parole di Hillman suonano come un epitaffio. Io, però, continuo a sperare che le vicende umane si affrontino con chiarezza senza inganni e autoinganni.
A presto.
W
Purtroppo nell'invio del commento è andata perduta la prima parte che riscrivo
<<Non esiste una soluzione pratica alla guerra perchè la guerra non è un problema risolvibile con la mente pratica, la quale è più attrezzata per la sua conduzione che per la sua elusione o conclusione.La guerra appartiene alla nostra anima come verità archetipica del cosmo. E' un'opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere. Possiamo aprire.....
Lisa
Caro Prof, tale principio, peraltro contestato da molti internazionalisti, apre un dibattito non solo di natura giuridica, che preferisco lasciare ai giuristi, ma tocca aspetti non trascurabili relativi alle diverse condizioni politiche interne degli Stati. E’ infatti evidente che il “dovere di proteggere” assume connotati molto diversi se preso in esame in Cina, in Russia, o in Occidente. Intendo dire, che, al momento, c’è troppa differenza e quindi diffidenza tra gli Stati per poter immaginare un modello di intervento che valga erga omnes. Per quanto riguarda l’Occidente, poi, a me pare che il vero passepartout per dare il via agli interventi umanitari militari siano gli interessi economici. Nessuno immaginava che la Francia fosse così sensibile al problema di proteggere e così poco incline all’accoglienza.
Cara Patrizia,
nel mio post ho volutamente tralasciato, per non appesantirlo troppo, il nocciolo duro delle critiche a R2P. Tu cogli nel segno. Il vero problema è che l'organismo sovranazionale non lo è poi così tanto e che i paesi ricchi decidono il destino di quelli poveri.
Grazie per il contributo
A presto
W

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