Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un significativo intensificarsi delle
manifestazioni e delle giornate di protesta. Oggi, ad esempio, in cinque città italiane, vi sarà una
notte bianca organizzata dal PD in difesa dell’istruzione pubblica.
Accanto al plauso e ai consensi di quanti scorgono nel fenomeno un sintomo del risveglio della società civile, molte sono invece le polemiche e i distinguo.
La vexata quaestio è la stessa di sempre: ma la politica si fa in piazza o nelle sedi deputate?
Sembrerebbe una domanda retorica, ma non lo è affatto.
La sociologa Saskia Sassen (Columbia University e London School of Economics), nota per i suoi studi sulla globalizzazione, ha scritto saggi illuminanti sull’argomento.
La tesi della studiosa è che la globalizzazione ha indebolito, in tutti i paesi, il potere legislativo e rafforzato il potere esecutivo, con la conseguenza che un numero sempre maggiore delle attività di governo è sotto il controllo diretto dell’esecutivo.
“Non è una cosa di cui rallegrarsi . Per quanti limiti le democrazie liberali possano avere, il sistema legislativo è il luogo in cui si esercita il potere del popolo, in cui possiamo far sentire la nostra voce attraverso i nostri rappresentanti eletti. È anche il ramo del governo in cui possiamo porre i politici di fronte alle loro responsabilità: chiedere ai legislatori e, cosa ancor più importante, al governo - presidente/primo ministro, ministri, agenzie e commissioni operanti all'interno dell'esecutivo - di rendere conto del loro operato” (da A mano disarmata nella metropoli)
Si capisce dunque quale sia il pericolo di una tale deriva: in molti paesi il potere esecutivo soverchia quello legislativo, sottraendo in tal modo ai cittadini la naturale funzione di supervisione.
Come rileva la Sassen, ciò emerge chiaramente nel caso degli Stati Uniti, dove il governo è sempre più “privatizzato”.
Un esempio italiano di questa forma di privatizzazione è la gestione della “Protezione civile”, ente posto direttamente sotto la Presidenza del Consiglio e sottratto sostanzialmente a qualsiasi tipo di controllo, che non a caso, negli ultimi tempi, è parso in più di un’occasione andare oltre le sue ordinarie competenze, suscitando, come si rammenterà, aspre polemiche e dando luogo in alcuni casi persino a vicende giudiziarie.
Questo è il pericolo che corrono le democrazie liberali. Pericolo sempre più concreto, anche in Italia, a giudicare dalle esternazioni del nostro Presidente del Consiglio - capo dell’esecutivo - che lamenta da anni di avere le mani legate da lacci e lacciuoli burocratici, di essere vittima di un Parlamento “pletorico” che rallenta in modo disastroso l’azione di governo, ragione per la quale continua ad invocare senza posa (l'ultima volta giusto
oggi), modifiche costituzionali che 'consentano' all'esecutivo di agire in modo snello ed efficace, come si addice ad una democrazia moderna (
sic).
Il trend italiano, come si vede, è perfettamente in linea con l’analisi della Sassen.
Che sintetizza così l’irrompere, sulla scena politica, dei nuovi attori cui guardare con favore:
“Stiamo entrando in una nuova era: il potere politico formale - governo, partiti, lobby - è sempre meno rappresentativo del corpus politico, quindi gli attori politici informali - i movimenti sociali, gli esclusi, i «senza potere» - assumono un ruolo ogni giorno più importante”.
Ecco perché, in questa particolare stagione della politica, dobbiamo guardare con occhi nuovi, ai movimenti, ai gruppi sociali, alla rete, a ciò che accade nelle piazze: gli “esclusi” possono essere l’antidoto alla deriva del potere esecutivo.
Costituiscono la sola speranza che la democrazia rappresentativa possa continuare a vivere.
Che questa speranza sia ben riposta lo confermano anche i venti di libertà che stanno soffiando nei paesi d’Oriente: anche lì, inaspettatamente, gli "esclusi" stanno giocando un ruolo decisivo.
"Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento". (Proverbio Cinese)
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La crisi della democrazia rappresentativa : il ruolo nuovo degli "esclusi".