Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 25 aprile 2011

Il 25 aprile e il pericolo del mimetismo ideologico.

(Foto Eidon, via Corriere.it)

Non so come la pensate voi, ma a mio parere c'è un fil rouge che collega sottilmente il gesto compiuto in un quartiere di Roma, il Pigneto  - dove hanno costruito e montato, in occasione del 25 aprile, una scritta (in inglese) stile Auschwitz (Arbeit macht frei) - al seguente articolo di Libero, apparso un paio di giorni fa nell'edizione online del quotidiano di Feltri-Belpietro:




Il pezzo, firmato da Camillo Langone (autore di un libro intitolato Il manifesto della destra divina) comincia così: "ho deciso, il 25 aprile lo passo con Gemma Gaetani", per proseguire con osservazioni quali "in questi giorni insopportabilmente retorici" e salaci battute per la serie "insomma, mi sto preparando a vivere un fino a ieri inimmaginabile 25 aprile integralista. Non più “Bella ciao” ma “Bello addio” ", per terminare con l'imperdibile chiosa "deve ancora venire il 25 aprile che ci liberi dagli uomini non veri".

Il filo rosso di cui parlavo non sta ovviamente nella recensione alle poesie provocatorie di Gemma Gaetani, quanto in quell'accostamento furbetto e ammiccante fatto da Langone tra il fascismo evocato nel titolo del libro recensito e la ricorrenza del 25 aprile .

Un atteggiamento intellettuale, quello di Langone, improntato ad una sorta di mimetismo ideologico, per cui la recensione diventa in pratica un pretesto per far passare messaggi subliminali di indifferenza (e dunque di contrarietà) nei confronti del 25 aprile, per definire "retorica insopportabile" quella che riguarda la ricorrenza nazionale, per sminuire in definitiva l'antifascismo quasi en-passant, facendo finta di niente, con toni tra l'irrisorio e il sardonico.

Questo mimetismo ideologico ha tutto il sapore di un'operazione 'da furbetto del giornalino' - non nuova allo stile del giornalismo di Libero - ed in questo appare parente molto prossima di altre operazioni mimetico-ideologiche cui abbiamo assistito ultimamente, quali ad esempio la proposta di abrogare la disposizione costituzionale che recita "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista", col pretesto che trattasi di 'disposizione transitoria'.

E' questo, a parer mio, il fil rouge che lega un evento come quello della scritta nazista, alle varie celebrazioni di Hitler succedutesi negli ultimi giorni, ai diversi tentativi - politici o pseudo-intellettuali - di ridimensionare un momento storico fondante, di assoluta rilevanza per la nostra nazione, come la Resistenza e di indebolire quanto più possibile il valore dell'antifascismo.

Guardiamoci pertanto da queste forme di mimetismo ideologico e stiamo in campana.

Perché il periodo storico che stiamo vivendo non appare dei più semplici, come dimostra l'avanzata della destra estremista e xenofoba in Europa (addirittura in paesi come la Finlandia), e fenomeni come quello della Lega Ticinese, vittoriosa alle elezioni per il Consiglio di Stato del Canton Ticino col 30%, anche grazie a slogan per la serie: "italiani via dal Ticino a calci nel c...".

Tutti questi sono segnali eloquenti.

Che consigliano di tenere alta la guardia. E di non perdere mai l'occasione per ricordare a chiunque, in ogni modo, le parole che furono di William Edward Burghardt Du Bois:
Il costo della libertà è più basso del prezzo della repressione.

Aggiornamento del 26 aprile: l'autore del gesto - 32 anni, lucano, precario - intervistato dal Fatto Quotidiano, ha dichiarato:
"volevo che guardando questo cancello, installato in una periferia, abitata da giovani precari ed extracomunitari oggi diventati clandestini, tutti riflettessero sul fatto che un pezzo di lager è nelle nostre città, mentre noi ce ne passeggiamo spensierati".
A parte la temerarietà dell'accostamento, a sentir lui non vi sarebbe dunque alcun collegamento con la ricorrenza del 25 aprile ("la scritta doveva essere montata la settimana scorsa", poi c'è stato un problema tecnico). 
Se da un lato fa piacere apprendere che il primo a dichiararsi antinazista è proprio l'artefice della scritta, dall'altro, tuttavia, resta il fatto che  la volontà di sceneggiare la bravata (definita "arte") nel giorno in questione non poteva che generare inevitabilmente un pericoloso cortocircuito logico. Di cui, a mio parere, dati i tempi che corrono, non si sentiva affatto la mancanza.
Ingenuità? Buona fede? Vogliamo crederci. Ma qualcuno spieghi al sedicente artista che il contesto (temporale, storico, ecc.) genera un preciso impatto comunicativo. Peraltro, in questo caso, facilmente prevedibile.


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