Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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lunedì 4 aprile 2011

La barzelletta di Berlusconi e la cartina di tornasole.


[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Come forse qualche benevolo lettore rammenterà, in un mio recente post riportavo l’interpretazione che Georges Dumézil (studioso delle religioni, linguista e filologo) dà delle ultime misteriose parole di Socrate morente, così come le racconta Platone nel suo celebre dialogo Il Fedone. Queste le parole:
«O Critone, disse, noi siamo debitori di un gallo ad Asclèpio: dateglielo e non ve ne dimenticate».
La versione fin allora più accreditata sosteneva che Socrate - che ha appena bevuto il pharmakon - intendesse offrire un gallo ad Asclepio, dio delle guarigioni, in segno di gratitudine: la morte, infatti, è la guarigione di quella malattia che è la vita. Dumézil riteneva questa interpretazione un’assurdità e ne suggeriva un’altra. Critone e Socrate erano scampati da una malattia della mente: entrambi, infatti, avevano carezzato l’idea della fuga. Ma erano presto rinsaviti e non si erano sottratti alle leggi. Questo è il debito che Socrate e Critone hanno nei confronti di Asclepio (ecco il perché di quel noi nell’invocazione) .

Mi ha sempre intrigato il fatto che Georges Dumézil fosse solito usare questo episodio socratico come cartina di tornasole
Divideva gli uomini di ingegno in due categorie: quelli che credevano che il gallo del Fedone “pagasse il felice passaggio dalla malattia alla salute funebre” e quelli che, come lui, non lo credevano: 
Solo questi ultimi erano begli ingegni... fu così che molti, anche di grande nome, diventarono nani ai miei occhi” (Georges Dumézil, «...Il monaco nero in grigio dentro Varennes», Adelphi 1987).
Ebbene anche io, imitando Dumézil, ho individuato nella mia vita una serie di cartine di tornasole.
Una di queste è la barzelletta.
Divido gli uomini in due categorie: quelli che hanno un autentico sense of humour e quelli che ne sono sprovvisti. 
I primi raccontano solo barzellette intelligenti e possiamo ascriverli nel novero dei begli ingegni.
I secondi, quelli che raccontano barzellette sciocche e magari anche volgari, beh quelli sono, per me, i nani di cui parla Dumézil.

Anche se di gran nome e, addirittura, presidenti del consiglio.


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