Come forse qualche benevolo lettore rammenterà, in un mio recente
post riportavo l’interpretazione che Georges Dumézil (studioso delle religioni, linguista e filologo) dà delle ultime misteriose parole di Socrate morente, così come le racconta Platone nel suo celebre dialogo
Il Fedone. Queste le parole:
«O Critone, disse, noi siamo debitori di un gallo ad Asclèpio: dateglielo e non ve ne dimenticate».
La versione fin allora più accreditata sosteneva che Socrate - che ha appena bevuto il pharmakon - intendesse offrire un gallo ad Asclepio, dio delle guarigioni, in segno di gratitudine: la morte, infatti, è la guarigione di quella malattia che è la vita. Dumézil riteneva questa interpretazione un’assurdità e ne suggeriva un’altra. Critone e Socrate erano scampati da una malattia della mente: entrambi, infatti, avevano carezzato l’idea della fuga. Ma erano presto rinsaviti e non si erano sottratti alle leggi. Questo è il debito che Socrate e Critone hanno nei confronti di Asclepio (ecco il perché di quel noi nell’invocazione) .
Mi ha sempre intrigato il fatto che Georges Dumézil fosse solito usare questo episodio socratico come cartina di tornasole.
Divideva gli uomini di ingegno in due categorie: quelli che credevano che il gallo del Fedone “pagasse il felice passaggio dalla malattia alla salute funebre” e quelli che, come lui, non lo credevano:
“Solo questi ultimi erano begli ingegni... fu così che molti, anche di grande nome, diventarono nani ai miei occhi” (Georges Dumézil, «...Il monaco nero in grigio dentro Varennes», Adelphi 1987).
Ebbene anche io, imitando Dumézil, ho individuato nella mia vita una serie di cartine di tornasole.
Una di queste è la barzelletta.
Divido gli uomini in due categorie: quelli che hanno un autentico sense of humour e quelli che ne sono sprovvisti.
I primi raccontano solo barzellette intelligenti e possiamo ascriverli nel novero dei begli ingegni.
Anche se di gran nome e, addirittura, presidenti del consiglio.
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La barzelletta di Berlusconi e la cartina di tornasole.