Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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giovedì 7 aprile 2011

Lettera da un bambino mai arrivato.




[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Mi chiamo Aziz. 
Ho dieci anni.
La mia città natale è Ghat una bella città della regione del Fazzan.
Nella mia città arrivavano tanti turisti da tutte le parti del mondo ed io coi miei compagni spesso li seguivo nelle loro gite, perché erano gentili e ci regalavano dolci e qualche moneta. 
Ai turisti piace la nostra città perché è una città oasi, siamo circondati dal deserto, che - l’ho imparato a scuola - i turisti trovano suggestivo e affascinante.
Inoltre siamo vicini ai monti del Tadrart Acacus e del Tassili n'Ajjer, ove ci sono pitture e incisioni rupestri. Mio nonno dice che i turisti sono interessati anche a visitare Jabal Idinen, conosciuto come la montagna degli spiriti. Ma mio nonno, che era una guida tuareg, dice che lui non li avrebbe accompagnati per tutto l’oro del mondo su quella montagna dove dimorano esseri malvagi.
Anche mio padre è una guida e fin quando non è scoppiata la rivolta la mia famiglia se la cavava. 
Ma ormai da mesi era tutto fermo: niente più turismo. Solo lotte, violenze, vendette.
E così mio padre ha deciso. Lì oltre il mare c’è la vita vera: una vera scuola, i cinema, le automobili, il lavoro, la libertà.
Il nonno ha detto che oltre il mare non ci vogliono e chi lascia il proprio paese non sa a cosa va incontro.
Mio padre ha risposto che lui sapeva bene ciò che lasciava e che non ci poteva essere di peggio.
Ha detto che la terra appartiene agli uomini e che tutti gli uomini hanno il diritto di andare dove si può stare meglio: anche gli uccelli migrano. 
Il nonno ha scosso tristemente il capo.
Ormai era deciso. Il viaggio è cominciato. 
Le ultime cose che ricordo sono le spinte, le urla, il barcone, la sete e poi quando, sono caduto in acqua, mio padre che gridava Aziz, Aziz.
Io non ce l’ho fatta ma spero che la mia famiglia sia arrivata in quel paese meraviglioso di cui ci parlava sempre mio padre e che per loro inizi la vita che lui sognava per tutti noi.
[In memoria di tutti i bambini che non sono riusciti a crescere nel nostro paese]


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