Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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martedì 3 maggio 2011

Quell'ipocrisia degli uomini nella gioia per la morte di Osama.

"Il pregiudizio", di Ciro Palumbo.


Ho grande rispetto per il Presidente Obama.

Ma il mondo, dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, non è affatto "più sicuro" - come invece ha affermato il Presidente - né diventerà, solo per questo, "un posto migliore".
E dentro di me sono convinto che, al di là della retorica trionfalistica, anche Obama, in fondo in fondo, sia consapevole di questo.

Ho grande rispetto per gli americani
L'immane tragedia che li ha travolti l'11 settembre è la ferita di un'intero popolo... e non si rimarginerà come d'incanto con la morte di Bin Laden.
Voglio credere che anche il popolo statunitense, in fondo al proprio cuore, lo sappia. 
Voglio credere che le manifestazioni di giubilo per la morte di un uomo - non Il Male, non Il Diavolo, un uomo, sebbene artefice di atrocità - siano la scomposta reazione per quella sofferenza e per quella ferita ancora aperta, ma anche, insieme, un modo per esorcizzare l'inconsapevole paura che nessuna parola fine alla lotta contro il terrorismo e contro i suoi pericoli è stata realmente scritta quando Bin Laden ha esalato il suo ultimo respiro.

Ho grande rispetto, credetemi, anche per tutti coloro che pensano - e non sono pochi - che uccidere un uomo possa realmente considerarsi un atto "di giustizia".

Il futuro di questo nostro mondo, tuttavia, passa a mio avviso per un concetto fondamentale: la nostra capacità di mettere sempre al primo posto la dignità umana come valore imprescindibile.

Valore che non si deve negare, non si deve schernire, non si deve affievolire.

L'uccisione di un uomo, qualsiasi uomo, è l'uccisione di un uomo, chiunque egli sia, qualunque cosa abbia fatto o rappresentato.

Finché gli Stati - tutti gli Stati - non riusciranno, in modo univoco, a veicolare sempre e comunque, in ogni circostanza, questo messaggio ai propri popoli, viaggeremo sempre sull'orlo di un pericoloso precipizio.

Perché, riflettiamoci un attimo: è l'innata tendenza a dividere gli uomini in buoni e cattivi che costituisce l'unica radice di quello che definiamo "il male".

Questa consapevolezza, purtroppo, a tutt'oggi non mi sembra siano in molti ad averla.

E voglio dirlo chiaramente: è proprio questo, molto prima del terrorismo, che, semplicemente, mi fa più paura.


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