Benvenuti nella città invisibile, ma non silente!

La città invisibile è una contraddizione in termini. Se una città esiste, con le sue case, le strade, i lampioni, gli abitanti, come può essere invisibile?! La città invisibile però c’è: è dentro ognuno di noi. Le fondamenta delle sue case sono quello che abbiamo costruito fino ad oggi, le nostre esperienze passate, gli avvenimenti della nostra vita. I mattoni delle case sono i nostri sogni, le aspettative, le speranze, tutto ciò che vorremmo fosse, domani, presto o tardi che sia. Le vie della città invisibile sono i nostri pensieri, che si ramificano innervandosi e collegano case, ponti, quartieri, costituendo una fitta rete di scambi e connessioni. La città invisibile è lo spazio vivo in cui ognuno si sente quello che è, ed è libero di esprimersi, di sognare, di dire “no”, persino di creare mondi diversi, realtà parallele: con la speranza che quel tesoro invisibile custodito dentro ognuno di noi possa rappresentare la fiaccola del cambiamento e si riesca a passarne, tutti insieme, il testimone. La via per riuscirci, a mio parere, è quella indicata da Italo Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio".

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giovedì 19 maggio 2011

L'affaire Strauss- Kahn: sesso e potere?

Dominique Strauss-Kahn
[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

D’accordo, l’errore cognitivo è difficile da evitare e soprattutto il pregiudizio. Ma devo dire che sono sorpreso e anche un po' imbarazzato dall'analisi sociologica alla base di decine di articoli apparsi sui più autorevoli giornali, in questi giorni, a proposito dell’affaire Strauss-Kahn.

Fra tutti, un paio di esempi.

Vittorio Zucconi (la Repubblica, 16 maggio) sostiene: “Non capiscono, per loro è naturale, normale, un «fringe benefit» del potere come l’autista, l’ufficio con il ficus, la poltrona in First Class... schiave come cameriere d'hotel guardate come pecorelle naturalmente a disposizione del padrone, del pezzo grosso, del capo”.

Secondo Michela Marzano (la Repubblica, 17 maggio) il potere e la ricchezza rendono onnipotenti: chi si trova in dette condizioni si convince che gli altri non hanno valore e che non sia possibile che “una cameriera di colore possa non avere voglia di fare l’amore con il direttore generale del Fmi”.

Dicevo prima che il bias, a quanto pare generato dalla parte più ancestrale del cervello, è praticamente ineliminabile.

Ma qui si esagera.

Perché mi domando: se ad assalire la cameriera di colore fosse stato, che so, l’idraulico di servizio come ce la saremmo cavata con l’analisi sociologica su “sesso e potere”?


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