Risultato: ha consegnato Milano al centrosinistra di Pisapia.
Sono segnali inequivocabili, che non possono non apparire risposte precise degli italiani a quesiti altrettanto precisi, per lo più posti esplicitamente dallo stesso Berlusconi (che era arrivato a dire persino "chi mi vuole bene, mi voti").
Il fatto che l'odio e la paura non siano più armi da brandire in campagna elettorale pone Berlusconi davanti ad un futuro politico a dir poco problematico.
Appaiono finiti i tempi delle evocazioni di sogni irrealizzabili (annata '94).
E il nemico comunista appare sempre più sbiadito e quanto mai anacronistico.
Cosa resta, dunque, ad un uomo preoccupato ormai più di salvare il salvabile - cioè la propria pelle nei vari processi - che di salvare il paese?
Molti commentatori di centrodestra hanno già cominciato a parlare di un futuro prossimo in cui Berlusconi "rovescerà il tavolo": un nuovo partito, si dice.
Una nuova storia da raccontare, c'è da supporre.
Basterà?
Francamente, io penso di no.
Chi affabula, chi fa il cantastorie, chi assume su di sé l'onere e l'onore di alimentare sogni e fantasie - parlando "alla pancia" delle persone - ha un solo modo per essere imperituro: non venire mai a contatto con la realtà; non sporcarsi le mani con i problemi quotidiani.
Ai tempi dei tempi, gli aedi erano considerati "divini".
Il loro mestiere era suonare le corde dell'anima di un popolo e conservare la sua memoria storica.
Un compito gravoso e magnifico al tempo stesso.
Divino, appunto.
Strappato alla sua dimensione narrativa però - dimensione del tutto affine a quella onirica - un cantastorie si rivela per quello che è: un uomo come tutti gli altri, con i suoi difetti, i suoi vizi, i suoi fallimenti.
E quando il velo è stato squarciato, quando la coscienza collettiva è uscita all'improvviso da quella condizione di mise en abyme, non ha più senso raccontare storie, evocare sogni.
Al cantastorie che ha perso le ali non resta che fare, sommessamente e dignitosamente, un bell'inchino.
E calare il sipario.
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